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Fotografia, un incontro con se stessi

di Lucia de Cristofaro

Numero 190 - Luglio-Agosto 2018

L’esperienza della fotografia può essere vista come un aprire gli occhi per ignorare meno la vita in cui viviamo, perché essa ci aiuta a concentrarci su ciò che sta accadendo intorno a noi e forzandoci a farlo, ci insegna a vedere con più attenzione.


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“La fotografia mi ha insegnato che il nostro corpo è parte del nostro essere” – scrive il fotografo Nemanja Milenković. Di fatto l’esperienza della fotografia può essere vista come un aprire gli occhi per ignorare meno la vita in cui viviamo, perché essa ci aiuta a concentrarci su ciò che sta accadendo intorno a noi e forzandoci a farlo, ci insegna a vedere con più attenzione. Il ruolo di fotografo contemporaneo consente di dare meno per scontato il mondo circostante e impedire che venga dimenticato o perso tra le pieghe del tempo. Fotografare, quindi, significa incontrare se stessi e le proprie emozioni. Ma chiediamoci: da dove nasce il desiderio di ognuno di noi di fotografare e di essere fotografati? -taglio- Forse per il bisogno terapeutico di veicolare le nostre emozioni attraverso una comunicazione non verbale che funge da catalizzatore di ricordi ed emozioni che raggiungono anche l'inconscio, suscitando curiosità ed interesse. Guardando una foto inevitabilmente ci lasciamo trasportare dai ricordi e ripercorriamo così il nostro vissuto, ritrovando nella memoria non solo i luoghi e le persone oggetto della fotografia, ma anche gli avvenimenti che l’hanno determinata, i sentimenti vissuti in quegli istanti. Ecco guardando una foto tutto ritorna alla nostra memoria, trasportandoci in un altrove lontano forse temporalmente, ma vicino al nostro sentire, alla nostra identità, perché ogni foto è soggettiva così come lo è ogni sguardo, ogni emozione, ogni vissuto nell’autenticità della vita, come un ponte tra l'interno e l'esterno, tra il dentro e fuori, tra il sogno e la realtà. Tutto ciò racconta il nostro modo di essere, dunque, lo proiettiamo nell'immagine, una foto può raccontare il tempo che passa e lo spazio, come sono cambiate le cose o al contrario come sono rimaste immutate. A livello cerebrale i nostri occhi captano e valutano il mondo esterno per percepire gli stimoli ambientali da parti lontane dal corpo, i nostri occhi senza sforzo rilevano e danno una rappresentazione del movimento, della forma, -taglio2- dei colori del mondo visibile e quindi lo stesso delle fotografie, che significa appropriarsi di ciò che i nostri occhi hanno visto, guardato, ammirato, appropriandosi della vita che ci circonda, dei suoi profumi , dei suoi colori, del movimento rincorso dal nostro sguardo. Se fotografare, dunque, è una maniera di vivere, di sentire, di godere dei dettagli, degli attimi che volano via o che riecheggiano per sempre dentro di noi, non dobbiamo dimenticare che importante non è la foto in sé, ma ciò che racconta, la nostra memoria nel tempo; quando i ricordi iniziano a svanire ecco che la foto è lì a imprimere il tempo passato. Comprendere l’interazione tra se stessi, la camera e l’oggetto è forse la chiave per comprendere i limiti o le qualità della fotografia. “La fotografia mi ha aiutato a scoprire le cose, interpretarle e rivelarle. Racconto la conoscenza del mondo in una architettura interiore dove le vibrazioni sono un continuo fluire di attimi, di avventure liberanti come espressione totale dove sento tutta la completezza della mia esistenza.” – affermava il grande fotografo Mario Giacomelli. Si può concludere che la fotografia in fondo è un segno, e va letta, obbligando a riflettere sul mondo nel suo continuo divenire.





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