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Un tesoro dentro

di Franco Salerno

Numero 208 - Marzo 2020

Siamo noi a dare un senso al nostro tempo: così è dall’antica Roma fino ad oggi


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In questi tristissimi tempi di Coronavirus, che ci ha costretto a un “riposo forzato”, è possibile trasformare questa difficoltà in opportunità, proprio come suggerisce l’etimologia greca della parola “crisi”, che non significava negativamente “crollo” e “peggioramento, ma “scelta” e “decisione”. -taglio-Ed infatti in questa fase drammatica noi possiamo “scegliere e decidere” di riappropriarci di momenti di libertà, da dedicare alle proprie passioni. E riprenderci il nostro tempo. Come facevano gli antichi Romani. I quali erano convinti che il tempo è nostro amico, perché grazie ad esso viviamo e ci immergiamo nel flusso imprevedibile dell’esistenza. Ma, per colpa nostra, diventa a noi nemico, perché noi spesso lo viviamo freneticamente e ci lasciamo vivere da esso. L’unica consolazione è che, come oggi, anche ieri, nel mondo classico, il tempo è il protagonista, amato e odiato, di molte riflessioni degli scrittori che hanno fatto la Storia. Il più grande poeta d’amore latino, Catullo, comprese che il tempo a noi concesso è breve (come recita l’etimologia del termine, che significa “parte dell’esistenza”) e che viceversa ci attende una “sola lunga notte”, in cui “dovremo dormire per sempre”. E, dal canto suo, anche Ovidio -che fu costretto a passare una parte del tempo della sua esistenza in esilio nelle regioni disabitate e orribili del Ponto- tuonò contro il tempo, chiamandolo “divoratore di tutte le cose”. Ma pochi decenni dopo, un filosofo, Lucio Anneo Seneca, che ha tratti più moderni anche rispetto a pensatori a noi contemporanei, pronunciò la sentenza più incisiva su questo problema: “Il tempo è l’unica cosa nostra”. -taglio2-Spesso noi lo usiamo male, vivendo una vita spersonalizzata, quasi “la vita di un altro”. Qualche altra volta sono gli altri che ci sottraggono il tempo e ce lo “rubano”:chi ci ruba il tempo, che è il nostro tesoro e il possesso più personale che abbiamo, non ce lo potrà restituire mai più. Perché altro tempo intanto sarà passato.
Arrivò poi il Cristianesimo e riscrisse il concetto di tempo. Il Salmo 90 della Bibbia recita: “I giorni dell’uomo sono come i fiori dei campi”, cioè destinati a perire. Il tempo ha un’azione diversa rispetto allo spazio. Questo, quando siamo nel ventre materno ci fascia e dunque (dice Monsignor Ravasi) “aderisce a noi” nella sua compattezza quando veniamo alla luce, il tempo invece “inerisce a noi”, nel senso che “sta dentro di noi”. E sta a noi, dotati di libero arbitrio, scegliere il tempo giusto. “C’è -scrive l’ ”Ecclesiaste”- un tempo per ridere e un tempo per piangere”. E sta ancora a noi, come dice l’ “Apocalisse”, decidere se mettere nel tempo (e, dunque, al centro della nostra vita) Dio al posto di Satana. Insomma, il tempo è come il dio latino Giano: aveva due volti. In conclusione, aveva davvero ragione uno scrittore del secolo scorso, Thomas Merton, che diceva: “Il tempo galoppa, la vita sfugge fra le mani, ma può sfuggire o come sabbia o come semente”.





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