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DANILO REA

Un tocco magistrale

di Maresa Galli

Numero 249 - Aprile 2024

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Dall’inaugurazione del “Maggio della Musica” di Napoli con “Adagios in Classical Jazz” in duo con Ramin Bahrami ai prossimi impegni e successi, entriamo nel mondo unico del celebre pianista


Il suo tocco pianistico è magistrale, la sua improvvisazione unica e riconoscibile. Con il suo talento spazia dal jazz alla classica, dal pop alla lirica alla canzone d’autore, accompagnando le più belle voci, da Mina a Fiorella Mannoia, da Baglioni a Paoli, da Zero a Morandi. Non ha bisogno di presentazione, Danilo Rea, uno dei massimi artisti del panorama mondiale.-taglio- “Adagios in classical jazz”, il concerto che lei ha tenuto con Ramin Bahrami al Teatro Acacia di Napoli, ha aperto il “Maggio della Musica”: quando nascono il sodalizio e l’amicizia con il grande artista? Porterete avanti nuovi progetti? “L’incontro è avvenuto dieci anni fa. Ci siamo intesi subito ed andrà ancora avanti. È raro trovare un musicista classico così aperto come Ramin che mi ha dato grande fiducia, tentando l’improvvisazione sulla musica di Bach e sul repertorio classico e non solo. Nel concerto per il “Maggio” abbiamo suonato in duo celebri Adagio dal Barocco al Novecento, spaziando da Bach, Mozart, Beethoven, Schumann, Liszt, Chopin Debussy, Rachmaninov ai Beatles (“Here comes the sun”), a Tenco (“Un giorno dopo l’altro”), a Gershwin, inframmezzando la “Pavane” di Debussy con la melodia di “El Pueblo Unido…” Ha collaborato a reading di celebri scrittori… “Mi piace interagire con tutti i generi artistici. Al Festival della letteratura ho collaborato con lo scrittore David Grossman che leggeva un brano. Grossman è stato entusiasta di duettare con me, Intenso anche il reading con Giancarlo De Cataldo. Alcuni attori non se la sentono di rischiare di abbattere le barriere tra i generi. Così accade anche a molti musicisti legati alla partitura. Ecco perché è nato, dalla nostra differenza, l’affiatamento con Bahrami. Sono legato anche alla musica classica che ho studiato a Santa Cecilia e così, con il repertorio con Ramin, torno alle origini. Ramin, con la sua bravura, non ha bisogno di affrontare altro. I più ortodossi non gradiscono questa commistione di generi.” Lei è stato docente al Conservatorio di Santa Cecilia: come si insegna il jazz? Come si improvvisa? “Ai giovani jazzisti ho spiegato che il jazz è poesia. Dico loro che bisogna studiare ma saper uscire dalle regole. Studiate i pianisti che vi piacciono ma non le trascrizioni, ascoltando direttamente gli autori. Fate pratica e metabolizzate ma cercando voi stessi. Il semiologo Paolo Fabbri afferma che fare jazz è come parlare, raccontare una storia. I pensieri prendono forma attraverso le parole. Ad improvvisare su Bach si rischia il cattivo gusto. Bach, grande improvvisatore, richiede una giusta improvvisazione rispettando la sua musica, la melodia. Così quando improvviso sui Beatles ne rispetto l’armonia, il contrappunto. Questo è possibile sviluppando un linguaggio personale. Nel 2013 ho suonato a San Domenico Maggiore, a Napoli, con Bruno Canino. Lui improvvisò su un blues, fantastico, così come con Bahrami. L’improvvisazione ci viene in aiuto sui molti ponti che ho aperto portando un Adagio o una Sonata ad altre dinamiche.” Lei ha suonato con i “mostri sacri” del jazz: Chet Baker, Lee Konitz, Art Farmer, Joe Lovano… Maestri capaci di andare oltre… “Si, e sono stati una scuola pazzesca! La nostra fortuna è stata suonare in quel periodo in Italia. Questi mostri sacri credevano nella musica, facevano musica, non frasi fatte. Chet Baker improvvisava sulle melodie, suonava ad orecchio. Avevo diciassette anni. A quei tempi i musicisti suonavano nei club e i jazzisti americani che venivano in Italia avevano bisogno di musicisti. Per noi una chance pazzesca. Ricordo il “Music Inn”, il locale jazz di “Pepito” Pignatelli, celebre negli anni ’70, dove hanno suonato Bill Evans, Chet Baker, Ornette Coleman, Charles Mingus… Noi giovani (con Roberto Gatto, Enrico Pieranunzi) lo frequentavamo, eravamo ragazzi. Lee Konitz mi invitò a suonare con lui in Sicilia. Appena arrivato, bastarono due minuti per accordarsi sul repertorio. Così con Johnny Griffin, col il quale suonai in Campania. Dapprincipio non mi voleva, aveva pensato ad un altro pianista. Dopo il concerto mi ringraziò per la mia originalità, così come Joe Zawinul.” Lei ha suonato e suona al fianco dei maggiori interpreti e musicisti italiani: Mina, grande appassionata di jazz, Fiorella Mannoia, Gino Paoli, Claudio Baglioni, Gianni Morandi, Domenico Modugno, Pino Daniele. Un suo ricordo? “Di Baglioni devo dire che ha sempre un’energia fisica e una voce incredibili. Ho visto il suo ultimo concerto di tre ore e 38 brani! Ha una grande cultura musicale e spero che non sia stato davvero l’ultimo. Anche Pino Daniele aveva una grande cultura musicale. Ho collaborato con lui nell’album “Schizzechea with love”, nel 1988, album Premio Tenco che si è avvalso anche di Steve Gadd e Agostino Marangolo. Prima di suonare con lui gli inviai una cassetta ma lui la reputò troppo jazz. Dopo un anno mi invitò nel suo studio di Formia, a registrazioni iniziate. Trovò bellissimo il mio pianoforte, sentì il feeling e registrammo subito, in due minuti e mezzo! Così, anni dopo, nel 1991, ci siamo ritrovati per “Un uomo in blues”. Nella foto di copertina sono un capellone…è stata una grande soddisfazione suonare con questi artisti: quando i cantanti sono anche musicisti, cercano musica di livello. Cosa dire di Mina? Essere con lei nella foto di copertina del suo cd è una grande emozione. Mina in un brano cerca il feeling, le emozioni.” Qual è la cattiva musica che non dovremmo ascoltare o veicolare ai giovani? Ramin ha detto che viviamo in un mondo brutto, con le guerre, l’intelligenza artificiale e che la musica può riportarci alla bellezza, alla pace… “La buona musica è emozione. Quando suoni e alla fine il pubblico partecipa, piange, questo è già un messaggio di pace. Suonando creo un flusso musicale, mi diverte molto. Ho legato alla “Pavane” di Fauré “El pueblo unido”. Negli anni ’70 la musica partecipava alla lotta politica e i giovani scendevano in piazza. In radio passavano le canzoni di Bob Dylan. Poeti del suo calibro parlano del mondo, della vita, dell’ingiustizia. Oggi i testi hanno un’influenza incredibile sui giovanissimi. La responsabilità di un cantante è forte poiché i ragazzi si formano sulle canzoni. Spesso i messaggi nei testi sono aggressivi, le parole brutte, sono diseducativi. Il rap, la trap, ne sono pieni, a prescindere dall’impoverimento musicale. I critici facciano barriera e frenino questa ondata al ribasso. Il web permette all’ignoranza di proliferare.” Progetti futuri? “Mi sto dedicando a composizioni mie. Immagino nuovi progetti in duo. Al concerto all’Acacia è venuto a vedermi Michel Godard, celebre musicista e suonatore di tuba e serpentone. Anche lui spazia dal jazz alla musica classica e con lui sto registrando. Amo lo scambio con pochi artisti, due o tre, dove gli spazi improvvisativi sono maggiori. Anche con Fiorella Mannoia andremo avanti. Da venti concerti ne abbiamo tenuti sessanta. Il duo ci piace e proseguirà nel tempo ma centellinando gli eventi per proseguire anche con i nostri differenti progetti.”

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