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Quel che resta del sole

di Pasquale Matrone

Numero 186 - Marzo 2018

Dichiarare guerra al tempo è impresa inutile, aspirazione stravagante dannata alla disfatta.


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Dichiarare guerra al tempo è impresa inutile, aspirazione stravagante dannata alla disfatta. Come fiume ingovernabile, la vita scorre, senza soste, verso il mare. All’inizio, quando il numero dei giorni sembra inesauribile, non ci si rende conto del moto incessante: il traguardo è così lontano da apparire quasi inesistente, una sorta di isola che non c’è, una destinazione dai contorni vaghi come quelli di favola… Poi, in un pomeriggio d’inverno, oltre il vetro della finestra, inattesa, un’epifania: nuda, la quercia alza braccia scheletriche verso gli ultimi sprazzi di sole, profili di colline e foglie vorticanti tra siepi sentieri vallata uliveti e sibili di tramontana... Accade all’improvviso. -taglio- E, come in un incubo, la velocità della corrente comincia a crescere, a farsi sempre più inquietante; l’isola rivela, insospettata e impietosa, identità geometrie distanza... Albe e tramonti sembrano, ora, inseguirsi con furia ostinata. Ci si ritrova indifesi, come le fronde impotenti, in balia di un vento che le sparpaglia lontano dal tronco e dalle radici. Ha cuore di cristallo, lo specchio: restituisce allo sguardo segni inequivocabili. Il vecchio che gli sta di fronte ha occhi tristi: teme il gelo e la rovina a cui cose e creature sono destinate; inorridisce; lo angustia il pensiero di finire in balia degli altri, di non avere la forza di difendersi. Emmanuel Lévinas ha ragione quando afferma che “l’umanità fa rima con la vulnerabilità”. La scoperta può generare paura, paralizzare, deteriorare quel che resta. Occorre, invece, usarne le risorse, trasformandola in stimolo a non opporre resistenza al tempo bensì a trovare -taglio2- in sé stessi la forza di assecondarne i ritmi; di scegliere la ‘resilienza’ come strategia nuova; di affidarsi all’universo; di fare l’uso migliore di tutti gli attimi di cui si dispone; di allentare la presa; di non sprecare energia in lamenti; di lasciarsi accendere da quel che resta del sole. Dall’inazione, figlia del rifiuto di accogliere la vecchiaia, occorre, dunque, passare alla “conazione”, e cioè alla scelta di persistere nella propria essenza, di continuare a essere vitali dinamici e disponibili ad agire. Perché chi impara ad accettarsi, anche quando gli anni incalzano, cammina senza angoscia; diventa più leggero; emana luce nuova; suscita attrazione; semina gioia; diventa orizzonte per gli altri; diffonde amicizia amore tenerezza. E, soprattutto, si prepara a uscire di scena con dignità e onore.





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