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Nuove senilità

di Antonino Ianniello

Numero 245 - Novembre 2023

Davvero interessante il nuovo album “Forever Vecchio” del cantautore pugliese Giovanni Santese


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L’album ‘Forever Vecchio’ (Irma Records) è il nuovo lavoro di Giovanni Santese, disponibile sulle piattaforme di streaming digitale e in formato fisico in tutti gli stores, dal quale è estratto l’omonimo singolo in rotazione radiofonica. In precedenza, sempre per la stessa etichetta, aveva ha pubblicato altri due album: -taglio-‘Ho deciso di restare in Italia’ (2014), finalista per l’assegnazione della ‘Targa Tenco’ come Migliore Opera Prima 2015, e ‘Stare Bene’ (2017). Ai precedenti due dischi sono seguite numerose date live in band e in acustico, che hanno toccato le principali città d’Italia e i club del circuito indipendente. L’artista cantautore pugliese ha preso parte, inoltre, allo storico concerto del Primo Maggio di Taranto davanti a 100.000 presenze insieme a Fiorella Mannoia, Afterhours, Vinicio Capossela, e tanti altri. Proprio Forever Vecchio è il brano che dà il nome al nuovo album di Santese … è un inno alla maturità e alla consapevolezza. «C’è un momento della vita dove abbiamo dentro mille voci e un altro invece momento dove riusciamo a trovare il tono giusto per noi. Sarebbe bello arrivare a quel grado di conoscenza di sé stessi e poi non morire mai … Forever vecchio, appunto. Se ci pensate, la più grande fregatura è quella che si debba morire dopo aver capito ed imparato a stare al mondo. Altrettanto una fregatura che l’umanità sia sempre costituita da eterni inesperti della vita … Sarebbe sicuramente un mondo migliore se si potesse diventare Forever vecchi.» Il disco è stato prodotto da Taketo Gohara e gli arrangiamenti sono stati curati da Giovanni Santese e Mirko Maria Matera, registrato presso il ‘Wunder Kammer Studio’ di Alessandro. «Forever Vecchio è Dorian Gray che distrugge il dipinto e decide di invecchiare, è smettere di voler piacere agli altri per piacere finalmente a sé stessi, è la forza della debolezza e della verità.» L’album è stato scritto in un momento, quello della pandemia, dove risultava necessario stoppare, riflettere, stare da soli per poi rinascere. L’artista ha vissuto quel momento come una rivoluzione interna. Parlaci di “Milano” il brano che apre il tuo disco. «Quella canzone è la storia vera di me che con la mia famiglia sta per trasferirsi da Grottaglie, in Puglia, a Milano ma che alla fine non lo fa più, rimanendo dov’è. È una canzone motivazionale: può sembrare un fallimento ma non è così… è stato qualcosa che è rimasto forte in me e che mi aiuta ogni volta che serve. Milano è diventata una specie di stato d’animo che ti porta a fare tutto al massimo. -taglio2-E, comunque, sì: anche la provincia ha le sue colpe, anche se è spesso carburante perché la noia risulta fondamentale per produrre e creare. Non potrei essere altro di quello che sono se non fossi nato in provincia. Ho girato per un po’ ma poi sono ritornato qui in maniera consapevole. Quindi, non posso lamentarmi: sono state tutte mie scelte.» A cosa o a chi si riferisce “Com’è ridotto il reame?” «La canzone è un esercizio di stile: mi sono divertito ad ambientarla in epoca medievale ed è una lettera scritta da una principessa al padre partito per le Crociate. Il messaggio è semplice: ‘Non stare a perdere tempo lì per guerre inutili e torna a casa … perché è qui che sta succedendo un macello’. Il padre rappresenta il senso di umanità in senso generale e la canzone è stata scritta qualche anno fa quando, sotto un governo giallo-verde, si stava oltrepassando ogni limite nel gestire l’emergenza immigrati: lasciare gente in balia del mare solo per conflitti politici mi sembrava un atto disumano. Nello stesso periodo arrestarono anche Domenico Lucano, l’ex sindaco di Riace, che nella mia canzone diventa “il brigante che a sud della contea rubava ai ricchi per dare ai poveri”.» Hai compreso che la tua mission era piacere più a te stesso che agli altri. Come? «Lo capisci quando strizzi l’occhio a qualcosa che non ti appartiene e il risultato è peggiore di quella volta in cui sei stato più autentico. Da un punto di vista artistico, quando l’ho fatto, sono stato scontento e ho avuto alcun vantaggio: il mio secondo album, ad esempio, ha virato più sull’elettronica per essere orecchiabile e commerciale. Ma ho inseguito qualcosa che non mi apparteneva: le canzoni mi piacciono ancora ma non come le ho rese in musica, non rispecchiavano chi sono. Ecco perché per Forever vecchio ho cercato di essere il più autentico possibile: ho fatto solo cose che mi emozionavano dall’inizio alla fine. E credo anche di aver fatto un disco senza tempo, che può essere ascoltato oggi come tra vent’anni: sarebbe stato facile inseguire la strada del ‘rap’, del ‘trap’ o di tutto ciò che funziona radiofonicamente, ma non sarei stato io.»





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