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Musica ad effetto

di Paola Ratti

Numero 200 - Giugno 2019

È un album molto ispirato “Lettere al neon”, che segna il ritorno sulle scene del cantautore milanese Emanuele De Francesco. Ecco cosa ci ha raccontato


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A volte poesia e musica si incontrano e ne abbiamo avuto l'ennesima prova grazie a “Lettere al neon”, il nuovo album del cantautore Emanuele De Francesco (uscito per Sciopero Records / distribuzione Self). Un lavoro ricco di suggestioni sia visive che emotive, come si può già intuire dal titolo. Ne abbiamo parlato direttamente con lui...

Da quali ispirazioni e suggestioni nasce “Lettere al neon”?

“L'album nasce da esperienze, riflessioni, fatti di cronaca o interviste che mi hanno colpito. Alcune volte mi è capitato di ascoltare semplici frasi o episodi che hanno destato la mia attenzione e di cui mi sono servito per sviluppare metriche, altre ho osservato la realtà filtrandola con riflessioni, ricordi ed episodi che mi hanno riguardato e che hanno avuto un impatto emotivamente forte in me, suscitando sensazioni contrastanti. -taglio-Ad un certo punto, dopo aver fatto 'sedimentare' le tracce composte, mi sono accorto che avevo sottomano delle istantanee che riproducevano perfettamente la mia percezione della realtà e, contemporaneamente, ben circoscrivevano il mio stato. Ascolto dopo ascolto, ho pensato che una luce giusta per illustrare queste sensazioni fosse il neon, effetto che mi ha sempre affascinato e disturbato perché rappresenta l’innovazione e la decadenza, attrae e al tempo stesso patina, allontana. Ho messo insieme queste suggestioni e trovato un titolo che mi sembra adatto a descrivere il lavoro.”

Differenze e affinità con il precedente lavoro “In quieta mente”?

“Ho usato suoni e qualche effetto 'vintage' da cui sono sempre stato affascinato, ad esempio il Rhodes, poi arpeggi e riff di chitarra che rimandano a atmosfere più datate, ma senza esagerare, lasciando spazio anche ad alcuni loop che dessero una impronta moderna. Ho cercato, grazie soprattutto all’aiuto di chi mi ha prodotto artisticamente (LeLe Battista ed Evasio Muraro) di far quadrare il tutto senza eccessi da una parte o dall’altra. Questo, a differenza di 'In Quieta Mente', lo trovo più moderno e con maggior spinta, e mi rappresenta per quello che desidero essere in questo momento: un artista non imbrigliato nella solita etichetta chitarra e voce che guarda, possibilmente, anche ad altro.”

Ha dichiarato che le canzoni sono dei segnali, delle lettere da inviare a un mondo distratto. Ci spiega meglio?

“Ho sempre pensato al lavoro di artista come a qualcosa di affascinante e immaginifico, a metà strada tra la magia e il silenzio, l’euforia e la malinconia, la stravaganza e la rettitudine. Viverlo bene per me significa ogni tanto fermarsi, sentirsi, scrivere cercando di far vivere queste sensazioni rendendole fruibili a me e a chi vuole ascoltare. In quei momenti mi sembra davvero di essere un cronista silenzioso e guardingo che anziché correre dietro a telefonini, messaggi e altro (cosa che tutti, chi più chi meno, facciamo) scrive e racconta cercando, in primis, intimità con se stesso. Alla fine dei conti sono proprio lettere e riflessioni che, come un viaggiatore al ritorno da una vacanza, ad un certo punto decido di inviare, sperando qualcuno legga e si identifichi, perché credo fortemente esista ancora molta sensibilità in ognuno di noi e che basti ricominciare a leggere, parlarsi e frequentarsi per sentirsi meno alieni ed insicuri. La distrazione, in quest’ottica, è da intendersi nel non voler accendere qualcosa che abbiamo dentro e che aspetta solo di essere riscoperto, preferendo rincorrere impulsi moderni, spesso, futili. Certo non è facile, non lo è proprio e me ne rendo conto. Le canzoni però hanno questo spirito: vogliono comunicare, nei limiti del possibile fermare e far da punto di incontro quando, oggi, la sosta o l’incontro non sono -taglio2-più considerati valori e fonti di arricchimento interiore.”

Secondo lei la musica è ancora portatrice sana di riflessioni e valori? Oppure la superficialità sta prendendo il sopravvento?

“Non credo esista una musica, o forma d’arte, superficiale in sé. Ritengo una risposta appropriata segua il concetto illustrato poc’anzi. La superficialità è figlia di tante cose, indotta da abitudini, consumi, paure, cattiva comunicazione. Ha mai fatto caso a quante persone salutano in ascensore oppure guardano da qualsiasi altra parte pur di non parlare con chi, alla fine, vive nello stesso palazzo? Lo trovo assurdo e grottesco, ma fotografa bene il nostro modo di vivere oggigiorno, sempre di corsa, con poca attenzione e voglia di relazione. Questo approccio si riflette anche, e soprattutto, nella musica così come nel cinema, nella tv e nella maggior parte dello sport professionistico: si vuole tutto e subito, non c’è tempo di attesa sufficiente a delineare un progetto nel tempo, ogni cosa deve essere fruibile e poco 'pesante', leggera, di immediata presa o facile ascolto. Per quanto mi riguarda, per rispondere direttamente alla domanda, la musica, così come l’arte e la letteratura, sono e saranno sempre portatrici di riflessioni e valori. Occorre però che tali valori siano appositamente contestualizzati ed analizzati al fine di capirne la reale portata. Mi viene in mente il punk: agli albori era considerato artisticamente superficiale e minimale, se non pericoloso e sovversivo, ma anche lì il fenomeno, come il tempo ha mostrato, non era solo di natura musicale, aveva radici ben più profonde. Non è quindi la musica in sé a essere superficiale o meno: il problema è soprattutto cosa si sceglie di veicolare e come lo si ascolta ed è un discorso molto complesso che richiede una analisi e riflessione profonda che tutto il sistema deve fare, creando i presupposti per sviluppare nell’individuo, a partire dalle scuole, senso critico e capacità di analisi in modo da poter successivamente cercare, approfondire e soprattutto scegliere.”

Progetti per l'estate? Porterà in giro “Lettere al neon” con un tour?

“Ho intenzione di fare una promozione mirata dell’album, esibendomi in diversi locali ed eventi, ma andando anche nella direzione degli house concerts, forma di intrattenimento che ritengo molto utile al giorno d’oggi per avvicinare artista e pubblico. Personalmente mi piace questo tipo di approccio quasi confidenziale con l’ascoltatore, lo trovo molto adatto al mio modo di intendere la musica. Ci saranno con me Maurizio Gaggianesi alla batteria ed Evasio Muraro alle chitarre e/o al basso, gli stessi che hanno suonato nel disco. Nei locali cercheremo di riprodurre fedelmente l’album avvalendoci anche del sequencer per riprodurre alcuni effetti che denotano il lavoro, mentre procederemo ad una veste più delicata e spoglia, sempre fedele al disco, in ambiti più ristretti.”





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