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Il suono della parola

di Umberto Garberini

Numero 184 - Gennaio 2018

Nell’ambito della terza edizione della rassegna è stato presentato un libro sulla storia della canzone napoletana


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Napoli luogo mitico e poetico, città cantante per eccellenza, il cui fascino irresistibile, antico e misterioso come un’eterna e ammaliante sirena, non smette di sedurre e incantare: questa la premessa della rassegna fra letteratura e musica “Il suono della parola”, giunta alla terza edizione, a cura della Fondazione Pietà de’ Turchini e di MiNa Vagante, con il patrocinio del Comune di Napoli. Fra testimonianze e confronti sulle diverse forme di linguaggio che hanno appassionato protagonisti e pubblico, si è tenuta la presentazione del nuovo libro di Pasquale Scialò “Storia della Canzone napoletana 1824-1931”, edito da Neri Pozza. A fare gli onori di casa la nuova maschera tutta napoletana di Piermacchiè (al secolo Pierangelo Fevola) che all’ingresso della Chiesa di Santa Caterina da Siena ha intrattenuto simpaticamente gli ospiti con le sue performance comiche e surreali. Quindi il dibattito serrato ma colloquiale con un esperto culturale come Goffredo Fofi, alternando preziosi interventi musicali dal vivo, in cui si è venuta tratteggiando un’identità e una vocazione musicale locale - anzi “glocale”, come la definisce Scialò - che non sembra conoscere stasi e rimpianti. -taglio- Oggi come ieri, il suo canto nostalgico, tenero e amaro, fiero e generoso mostra tutto il coraggio e la bellezza della poesia, pronto ad accogliere e a far proprie istanze e influenze disparate: dal folclore alla tradizione borghese e salottiera, dal melodramma ai ritmi e alle armonie d’oltreoceano (basti pensare all’andamento di habanera di “’O sole mio”). Ma quando nasce la canzone napoletana? Il primo documento storico risale al XIII secolo: un componimento in volgare, “Jesce sole”, che è quasi un rito arcaico che invoca lo spuntare del giorno, con la sua luce e il suo calore. Allo stesso mito, ma con la metafora di uno struggimento d’amore, si ricollega il “Canto delle lavandaie del Vomero”, suggestivamente intonato a voce sola da Romeo Barbaro e ripreso, nobilmente stilizzato, dal soprano Nunzia De Falco, accompagnata al pianoforte da Franco Pareti. Centrale è lo sviluppo della villanella “napolitana” rinascimentale, espressione spontanea della creatività popolare di contenuto rustico-sentimentale: un genere che è a fondamento del successivo sviluppo della canzone classica, ancor oggi coltivato dai giovani, come nel caso di Serena&Viviana (alias EbbaneSis) che in questa chiave, con un delizioso contrappunto a due voci, hanno interpretato “’Mmiez’ ‘o ggrano”, brano del 1909. Intanto, con l’affermarsi del melodramma e dell’opera buffa in particolare, infiniti sono i prestiti e le reciproche influenze fra colto e popolare; gli intermezzi “rivoluzionari” di Pergolesi, Paisiello, Cimarosa palpitano di vita e -taglio2- commozione, si afferma la tarantella (termine onomatopeico) che sembra quasi esorcizzare tragici avvenimenti politici e sociali: emblema e prototipo ne è “Michelemmà”, ma altrettanto travolgenti sono “Cicerenella” e “Lo Guarracino”, espressioni di un vitalismo inebriante e liberatorio. Nel corso dell’Ottocento si delinea definitivamente la fisionomia della canzone classica d’autore: a inaugurarla sarà un poeta di professione ottico, Raffaele Sacco, che trionfa nella Piedigrotta del 1835 con “Te voglio bene assaje”. Un francese trapiantato a Napoli, Guglielmo Cottrau, il “parigino di Mergellina”, compie opera di recupero e diffusione di canti anonimi della tradizione, pubblicando le antologie dei “Passatempi musicali”, in cui la tradizione orale trova finalmente assetto stilistico e diviene modello del belcanto italiano: “Fenesta vascia”, “Santa Lucia”, le tarantelle di Ricci e di De Lauzieres risuonano nei salotti e nei circoli musicali del tempo e varcano i confini nazionali con inarrestabile ascesa a partire da “Funiculì funiculà”, del 1880. La canzone napoletana aspira ormai a forma d’arte, genuina e colta, così tipica quanto universale; poeti e musicisti sono meravigliosamente ispirati e sinceri: Di Giacomo, Bovio, E.A. Mario, Di Capua, Costa, Gambardella, sono solo alcuni dei nomi che firmano capolavori che hanno fatto il giro del mondo, di cui infine è stato offerto un saggio dalla rilettura libera e ironica da parte della cantante Irene Scarpato accompagnata dal mandolinista Marcello Smigliante Gentile.





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