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Benedict Cumberbatch

Amore e potere

di Sacha Lunatici

Numero 230 - Maggio 2022

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Il grande attore britannico protagonista del film premiato agli Oscar per la miglior regia, ci racconta le difficoltà di interpretare uno scomodo antieroe


È uno degli attori più carismatici, talentuosi e brillanti della sua generazione. Nel corso della sua carriera Benedict Cumberbatch è riuscito, grazie alla sua voce profonda e alla sua magnetica presenza scenica, a dare vita a prestazioni favolose. Diventato famoso grazie al ruolo di Sherlock Holmes nella serie televisiva della BBC “Sherlock”, l’attore britannico ha conquistato Hollywood interpretando prima il matematico Alan Turing nel pluripremiato “The Imitation Game” - per cui è stato anche candidato al Premio Oscar – e successivamente uno dei celebri supereroi della Marvel, “Doctor Strange”. Recentemente Benedict è stato tra i protagonisti della 78. Mostra internazionale d’arte cinematografica della Biennale di Venezia con il film in Concorso “The Power of the dog”, disponibile su Netflix, che è valso a Jane Campion il Leone d'argento per la miglior regia. In questa pellicola tratta dal romanzo omonimo di Thomas Savage - che a gennaio si è portata a casa tre Golden Globe, oltre al recente Oscar per la Miglior Regia - Cumberbatch interpreta il ruolo “sporco e cattivo” di Phil Burbank, un allevatore sadico e crudele che incute paura e rispetto alle persone attorno a lui. Quando il mite fratello George (Jesse Plemons) porta a casa la nuova moglie, la vedova Rose (interpretata da Kirsten Dunst), con il figlio di lei, Phil comincerà a tormentarli in una guerra senza sosta… Benedict, anzitutto complimenti per essere stato protagonista di una delle pellicole più acclamate nell’ultima edizione degli Oscar. Gli Academy Awards hanno premiato soprattutto la coralità dell’opera, assegnando il premio per la miglior regia a Jane Campion. Com’è stato lavorare con lei? “Lavorare con lei è un’esperienza immersiva, perché hai l’opportunità di metterti in gioco come artista con estrema libertà. Quando incontri Jane ti scorrono davanti agli occhi tutte le sue opere iconiche che hanno contribuito a fare la storia del cinema, ‘Lezioni di piano’, ‘Bright star’ e molte altre... È una professionista straordinaria: nei suoi film riesce a creare un’alchimia impareggiabile, profonda e umoristica allo stesso tempo. La sua arte colpisce tutti, dagli attori agli addetti ai lavori passando per il pubblico che non vedeva l’ora di immergersi e perdersi in una sua nuova opera, senza tralasciare la critica che appunto l’ha incoronata nuovamente in questa edizione degli Oscar. Un premio completamente meritato e di cui tutti noi siamo orgogliosi.” Cosa ti ha colpito della Nuova Zelanda, luogo natale della Campion e set naturale che fa da sfondo a tutta la storia? “Spero che in realtà non si veda così tanto! La storia infatti è ambientata nel 1925 in una villa del Montana, sebbene il film sia stato completamente girato in Nuova Zelanda. Per me girare lì è stato bellissimo, sono stato accolto con grande affetto: è un paese che adoro, lo trovo davvero straordinario.” Phil, il tuo personaggio, è una figura poetica complessa… “Considerare Phil un cattivo credo sia fargli un torto, sarebbe un giudizio semplicistico e riduttivo: lui è semplicemente il risultato di come è stato cresciuto, e il fatto che non abbia redenzione credo faccia parte della sua storia personale. Non ho mai pensato che ci sia autenticità nella sua vita. È un uomo aggressivo che non ha mai conosciuto cosa sia l’amore e la gentilezza: un tratto caratteriale che lo contraddistingue e che emerge passo dopo passo nel corso della storia. Io non mi sento di essere nella posizione di poterlo giudicare ma lo comprendo. Vive in uno stato perenne di isolamento e oppressione ma ne prende coscienza e tenta di cambiare la situazione in cui vive. Vive una tensione di fondo che lo porta ad apparire sempre ambiguo nei suoi comportamenti.” I temi affrontati dalla pellicola sono davvero tanti: la famiglia, l’alcolismo, la solitudine, l’accettazione, e si accenna anche ad omosessualità e machismo. Come si va a districare il tuo Phil e, soprattutto, quanto è stato difficile interpretarlo? “Phil racchiude in sé tutti gli stereotipi della mascolinità tossica. Le persone che, come lui, hanno vissuto sulla loro pelle dei dolori anche grandi, come il poco affetto o la perdita di persone care, sono portati a infondere dei dolori anche ad altri. Tutti, prima o poi, nella nostra esistenza, ci troviamo ad affrontare personalità come lui e ne abbiamo avuti tanti di esempi “famosi” recentemente in ambito politico. Per quanto mi riguarda, credo che nessuno dovrebbe cercare di soffocare o nascondere i propri fantasmi ma affrontarli a muso duro. È con questo pensiero e spirito che ho affrontato il film, non con l’idea di rappresentare un cattivo ma una persona incapace di esprimersi sinceramente e con un grande subconscio a tutti inesplorabile.” Quindi alla fine è stato un ruolo che hai amato, pur essendo lontano dal tuo modo di essere e dal tuo pensiero… “Assolutamente si. Sono contento di aver interpretato un personaggio con così tanti lati oscuri (ride, ndr). È terapeutico, aiuta ad esorcizzare tutti quei demoni che possiamo portarci dentro. Pur volendo essere la persona più positiva del mondo a volte la realtà di porta a fare brutti pensieri. Questo personaggio mi ha fatto capire che anche in quei momenti è meglio sempre buttare tutto fuori, meglio dire e dover spiegare che rimanere in silenzio e rimuginare.”

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