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Zeruya Shalev

di Maresa Galli

Numero 240 - Maggio 2023

Raccontare il dolore in modo così intimo e toccante, capacità della scrittrice, poetessa, kibbutz Kinneret


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Pochi scrittori come Zeruya Shalev sanno raccontare il dolore in modo così intimo e toccante. Classe 1959, la scrittrice, poetessa, editrice nasce nel kibbutz Kinneret in Israele. Ha svolto studi sulla Bibbia e scritto anche libri per bambini. -taglio-Tra gli autori israeliani più letti assieme ad Amos Oz e a David Grossman, Shalev, analizzando la storia di Israele, racconta il fallimento dei tentativi di portare la pace. “Io avrei in cuor mio una soluzione – afferma - ma mi rendo conto che non è praticabile: bisognerebbe che le parti liberate si unissero. Spero sempre che ci possa essere un futuro migliore. Non perdo mai la speranza”. Con il suo primo romanzo, “Una relazione intima” (2000) vince il Golden Book Prize. I successivi libri, “Una storia coniugale” (2001) e “Dopo l’abbandono” (2007) pongono al centro della narrazione figure femminili delle quali indaga la psicologia, la fragilità, le lacerazioni interiori. Capace di scavare a fondo l’animo umano, introspettiva, acuta, con uno stream of consciousness di joyceana memoria, Shalev analizza i rapporti genitori/figli, uomo/donna; la sua scrittura nervosa, ritmata, restituisce le dinamiche conflittuali, terribili ma vitali, le luci e le ombre che albergano in ognuno di noi con finezza psicologica. Nel 2013 pubblica il romanzo “Quel che resta della vita” e nel 2016 “Dolore”, insignito del Premio Adei Wizo Adelina della Pergola e del Premio Jan Michalski. Un racconto forte che narra, attraverso la storia di Iris, la tragedia di un attentato terroristico a Gerusalemme dal quale si salvò. E il dolore è ancora il leit motiv del suo ultimo romanzo, “Stupore”. Il dolore aiuta a crescere e consente di diventare più saggi; “per questo – spiega - sono attratta dalle famiglie infelici e sono sempre alla ricerca delle difficoltà, curiosa di analizzare gli scontri, i problemi”. -taglio2- “Stupore” è metafora della vita del suo paese, Israele. Protagoniste del romanzo sono due donne: Atara, architetto che vive ad Haifa con il marito Alex e il figlio Eden, soldato tornato traumatizzato in seguito ad una missione. Su tutto incombe il senso di morte. Il padre di Atara, Manu Rabin, dispotico scienziato di fama internazionale, in prime nozze sposò Rachel, novantenne, da giovane militante del Lechi, gruppo paramilitare che combatteva gli inglesi al tempo della nascita dello Stato di Israele. Anche Atara, inquieta cinquantenne, non sa come confrontarsi con le sfide del presente e vive profondi sensi di colpa. Passato e futuro, amore e perdita si intrecciano come la storia di un Paese che vuole costruire il proprio futuro dopo la guerra. Il romanzo è la storia di una generazione dimenticata, di una possibile catarsi, della ritrovata capacità di amare: - “non volevo raccontare un combattente uomo, ma donna. E il prezzo che le donne hanno pagato. La maggior parte dei miei personaggi sono donne – svela Shalev - ma mi piace pensare che racconto di situazioni umane in generale. Io faccio parte di un Movimento di donne per la pace e ci chiediamo come possiamo creare progresso, ma non è facile perché Israele è un Paese a forte impostazione maschile”. Atara è architetto di nuovi edifici, con nel cuore la speranza di un futuro migliore da percorrere insieme in pace ed armonia.





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