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L’altra prospettiva

di Maresa Galli

Numero 186 - Marzo

Il Teatro San Ferdinando di Napoli, presenta l’ultimo lavoro di Ruggero Cappuccio, con alla base una concezione mistica dell’esistenza


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Torna al Teatro San Ferdinando Ruggero Cappuccio, autore e regista di “Desideri mortali. Oratorio profano per Giuseppe Tomasi di Lampedusa”, una produzione del Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale. Lo spettacolo nacque ventidue anni fa al Teatro Valle di Roma. Con il suo lavoro teatrale, Cappuccio, con rara intensità intende sfatare la mitografia creatasi attorno alla figura del grande scrittore, analogamente a quanto accaduto per altri grandi personaggi costruiti, deformati: Leopardi è afflitto da vari mali, Caravaggio si aggira per Napoli coltelli alla mano, Galilei è sempre al suo cannocchiale; così Tomasi di Lampedusa, chiuso nel suo secolo, rappresentato come un vecchio autore aristocratico mentre è un intellettuale che ha conosciuto Bassani, Bacchelli, Montale.-taglio- È un autore a noi vicino, che detesta i nobili, il sentimentalismo del melodramma, ama la letteratura inglese, francese, l’Irlanda, gli Usa, i russi e apprezza la letteratura poliziesca. “Il Gattopardo” non è dunque un romanzo storico che subì, non compreso, l’attacco della critica cattolica (non c’è Dio secondo la vulgata cattolica) e la critica marxista che ne prese le distanze (troppa aristocrazia). “Il Gattopardo” è un romanzo europeo in cui non succede niente, in un Paese affascinato dal valore dell’accadimento, secondo il regista. Il libro è altamente vitale, dalla scrittura fresca, veloce, tradotto in 48 lingue, uno dei più letti al mondo. Lampedusa ci descrive il Sud ma con la visione di un inglese, di un europeo: il principe non è favorevole né ai Borbone né ai piemontesi: le mascherate politiche che accadono quaggiù non gli interessano. Tra gli altri ha avuto un antenato Santo, Giuseppe Maria Tomasi, ed è stato anche un astronomo dotato di una visione anti materialistica: simbolicamente leoni, gattopardi, sciacalli e pecore continuano a sentirsi i padroni della Terra. Gli attori in scena nell’Oratorio profano, una nutrita compagnia, sostengono di essere morti ma di continuare ancora a sognare. La loro è una polifonia di lingue, grammatica sinfonica che va oltre il pentagramma. Non un bemolle ma l’intera musica conta. Due lingue, napoletano e siciliano, raccontano il regno di due Sicilie, di due Napoli, di Etna e Vesuvio (così ben evocati nel loro amplesso mitico da Gea Martire, Marianna la prostituta)-taglio2-, di due terre gemelle, negli eterni errori umani, presuntuosi schiavi del desiderio. Individui che potranno essere liberati solo dalla morte, la perfezione del nulla. Sarebbe terribile pensare che l’anima fosse eterna! Tra diecimila anni ancora lì a soffrire, a desiderare, sarebbe insostenibile. Ricattati dall’idea della vita i protagonisti della storia invocano l’universale, anelano al superamento delle esperienze sensoriali. “De-siderare”, è aver perduto la via delle stelle, come sottolinea Claudio Di Palma (il Principe), tra gli ottimi attori dell’affiatato cast composto da Ciro Damiano (Padre Pirrone), Marina Sorrenti (Beatrice Madre di Lampedusa), Nadia Baldi (Concetta), Antonella Ippolito (Chiara), Ilenia Maccarone (Angelica), Rossella Pugliese (Antonia), Simona Fredella (Caterina), Martina Carpino (Anne), Piera Russo (Carolina). Dal vivo li accompagnano le melodie di Luca Urciuolo al pianoforte e di Gianluca Scorziello alle percussioni, autori delle musiche con Marco Betta. Suggestive, oniriche le scene create da Nicola Rubertelli, il disegno luci di Nadia Baldi, anche aiuto regia, i costumi di Carlo Poggioli, le immagini di Ciro Pellegrino. Sui dialoghi, le dolorose memorie fa eco il suono del mare, passato e presente, sensualità e oblio, che restituisce la lingua poetica di Tomasi di Lampedusa, sapientemente interpretata da Cappuccio. Una grande prova per i dieci attori in scena che recitano, intonano cori, si muovono in scena con perfetto sincronismo, quasi una coreografia che culmina in un samba o forse una taranta nel finale liberatorio.





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