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Derive e inizi

di Maresa Galli

Numero 243 - Settembre 2023

Dopo il successo per la storica rassegna teatrale, nuovi documentari e biopic in preparazione per Giovanni Meola


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Si è appena conclusa la dodicesima edizione di ‘Teatro alla Deriva’, un successo di pubblico che attendeva con entusiasmo l’appuntamento, per anni l’unica rassegna teatrale della zona flegrea. Chiediamo al suo Direttore Artistico Giovanni Meola, da undici anni al timone dell’evento, qual è il suo personale bilancio: -taglio- “Quest’anno abbiamo avuto quattro sold out su quattro spettacoli, come l’anno scorso del resto. La differenza, però, è che quest’anno ben tre volte il sold out lo abbiamo registrato con uno o due giorni di anticipo. Questo significa che il pubblico ormai aspetta la nostra rassegna e, ancor di più, che si fida delle mie scelte e del nostro modo di comunicare e organizzare il tutto. Riuscire a creare una comunità attorno ad un appuntamento del genere, unico come modalità e location, è davvero soddisfazione fuori del comune. Ovviamente, ogni anno l’asticella delle aspettative si alza, lo sappiamo, ma siamo ben contenti di lavorare affinché l’edizione successiva sia sempre migliore di quella precedente”. Come sempre, se c’è un leit motiv che lega gli spettacoli di ‘Teatro alla Deriva’ è la loro qualità, con eccellenti protagonisti e registi… Dal lavoro in puteolano di Pako Ioffredo a Shakespeare al contemporaneo Nick Payne, è forse questa la chiave del vostro successo? “Ecco, questa è una cosa di cui sono veramente contento ed è sempre il mio fine ultimo: cercare di avere sempre miei e nostri ospiti artisti che abbiano davvero qualcosa da dire. Attorialmente, registicamente o drammaturgicamente. Io vedo da sempre tanto teatro e quindi tento di drizzare sempre le antenne, così da captare l’eccellenza o, quanto meno, la qualità non scontata. Negli ultimi anni credo di aver invitato spettacoli firmati e interpretati da registi e attori di grande spessore e questo ci è stato testimoniato tantissimo dal pubblico che ha affollato le nostre serate”. Lei ha curato la regia di “Amleto (o Il Gioco del Suo Teatro)”, liberamente tratto da Shakespeare, con tre attori molto bravi che incarnano i vari personaggi del dramma, per poi impersonare tutti il protagonista a turno. Ancora una volta una riscrittura scenica collettiva: Amleto si serve del gioco del teatro mettendo in scena un dramma per studiare la reazione del re. “Decidere di mettere in scena ‘Amleto’ è sempre complicato, perché il dramma di Shakespeare ha avuto migliaia di versioni e di riscritture. Ma è una di quelle sfide a cui, prima o poi, si deve rispondere. Il punto cruciale del mio e nostro adattamento (e del resto il sottotitolo è lì a dimostrarlo) è stato proprio legare l’azione di Amleto, dubbioso fino all’inazione, in merito alla vendetta nei confronti dello zio-Re, alla presenza a corte dei Comici, degli attori che lui, peraltro, dimostra di conoscere e comprendere. A quel punto, immaginare un Amleto conoscitore dei segreti della drammaturgia, della regia e della recitazione (famosissima la cosiddetta ‘tirata degli attori’ che Amleto stesso fa al Primattore), il tutto applicato alla sensibilità umana, fa di questa relazione un argomento di interessantissimo sviluppo. Così, con i miei tre attori, si è lavorato in quella direzione, al punto che il personaggio di Amleto viene interpretato perlopiù da un’attrice (Sara Missaglia, dotata di un magnetismo e di un’energia contagiosi), ma anche dagli altri due, in alcuni passaggi. Tutto questo perché se di recita si parla, allora tutta la vicenda non è altro che un recitare senza requie, esattamente come la vita, che noi crediamo essere ‘vera’, per non impazzire, ma che altro non è che un palcoscenico a grandezza naturale nel quale mistifichiamo senza sosta i nostri reali intenti e desideri per quelli che sono, di volta in volta, i nostri scopi reconditi. Quindi, come si può intuire, misurarsi con questa drammaturgia così famosa, ma anche così misteriosa (sono svariate le cose che non trovano spiegazioni univoche, all’interno della drammaturgia), apre canali di esplorazione, concettuale e scenica, davvero affascinanti”. Non si spegne l’emozione per il suo coinvolgente lavoro teatrale, “Tre. Le Sorelle Prozorov”, da “Tre Sorelle” di Cechov, un successo dell’edizione del Teatro alla Deriva 2019: pensa di riproporlo? “Il nostro Cechov, liberamente riscritto con le tre attrici Roberta Astuti, Chiara Vitiello e Sara Missaglia, è un lavoro che continua fortunatamente a darci enormi soddisfazioni. Dopo aver vinto il premio per la ‘Miglior Regia’ al “Do It Festival” 2022, sarà in cartellone al Teatro Nuovo a Napoli, nel corso della prossima stagione, il 16 e 17 marzo. -taglio2- Inoltre, faremo parte di altri cartelloni ancora, in regione e fuori regione. Si tratta di un lavoro al quale teniamo oltremodo perché Cechov rappresenta una sfida altrettanto importante di Shakespeare ma con caratteristiche differenti. Mentre lì siamo probabilmente al cospetto del primo personaggio davvero moderno, un Amleto roso da dubbi e riflessioni filosofico-concettuali, qui siamo alle prese con le prime avvisaglie della nevrosi dell’uomo e della donna del Novecento, ovvero un inesausto dialogo… monologante. Sì, perché cos’è il dialogo cechoviano se non la clamorosa anteprima della deriva di quella incomunicabilità di stampo novecentesco, esplosa poi in tutta la sua virulenza agli inizi di questo nostro secolo a causa della pervasività dei social? Cechov, che visionario lo era per davvero, pur senza proclami e senza esornazioni particolari, parlava di ecologia decenni prima che il tema prendesse piede, preconizzava (senza strombazzarlo) la rivoluzione socialista e scriveva personaggi la cui incapacità di reale comunicazione non era ancora cosa acclarata dalla sociologia e dalla psicologia sociale. Lavorare a ‘Tre Sorelle’ è stato esaltante e sfidante e poterlo continuare a mettere in scena, a quasi sei anni dal suo debutto, è pura gioia. Anche perché, più passa il tempo e più le tre splendide interpreti si affiatano sempre di più. Cosa assolutamente non scontata”. Lei lavora anche per il cinema: sta curando nuovi lungometraggi o documentari? E laboratori teatrali dopo quello con i detenuti del carcere di Poggioreale? “Dopo l’uscita del documentario lungometraggio ‘La Conversione’, che ha vinto premi, è uscito in sala, ha vinto un bando regionale e ora è su svariate piattaforme (tra cui Amazon Prime Video, Chili e Apple/TV), sono in attesa di far uscire ‘Art. 27, comma 3’, il videodiario documentario di un’esperienza di laboratorio di scrittura e recitazione tenuto presso il carcere di Poggioreale. Un’esperienza fortissima che questo film documentario testimonia in una maniera che, credo e spero, riesce a rimandare tutte le sfumature vissute in quei nove mesi di lavoro ed esperienza umana. Un’esperienza fatta di risate e drammi, di scoperte impreviste e delusioni forse prevedibili. Contemporaneamente sto e stiamo lavorando a nuovi progetti, il più importante dei quali, che firmeremo a quattro mani con il filmaker Raffaele Ceriello, è un biopic documentario sull’ex-Sindaco di Napoli, Antonio Bassolino. Un lavoro al quale teniamo molto perché ci permetterà di raccontare diversi decenni di vita politica dal di dentro. Allo stesso tempo, sono alla ricerca di sponde produttive per due progetti di film di finzione, da me sceneggiati, uno dei quali liberamente tratto da ‘Io So e Ho Le Prove’, l’omonimo saggio-memoriale sulle banche di Vincenzo Imperatore, da cui ho già tratto uno spettacolo teatrale, che anche il prossimo anno andrà in scena in giro per l’Italia. In quanto alla formazione, sono tantissimi anni che collaboro con scuole di teatro sparse sul territorio, ma anche con scuole superiori. Il lavoro di formazione è importantissimo e delicatissimo e io cerco di dedicarvi il massimo dell’attenzione e delle energie perché è solo attraverso un lavoro certosino che noi saremo in grado di contribuire alla formazione del pubblico di domani”.





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