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WARSAN SHIRE

di Maresa Galli

Numero 238 - marzo 2023

Warsan Shire, una delle nuove voci della poesia contemporanea


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Warsan Shire è una delle nuove voci della poesia contemporanea. Nata da genitori somali in Kenya, nel 1988, vive tra Londra, dove i suoi genitori si rifugiarono per scappare dalla guerra civile degli anni ’80 in Somalia, e Los Angeles. Definita spoken word artist, artista che recita, -taglio- si riconosce nel movimento letterario Black British Poets, di immigrati di diverse nazionalità che scrivono per rafforzare e rivendicare la propria identità culturale e linguistica. I versi di Shire, scrittrice attivista, sono profondi, critici e fanno riflettere sull’immigrazione, lo sradicamento, il trauma, la memoria, la condizione femminile, come mostra con la sua raccolta di versi, “Teaching My Mother How to Give Birth”, del 2011. Come si sente un rifugiato lontano dalla sua casa?, si chiede l’autrice. La sua poesia più famosa, “Home”, del 2009, è diventata virale nel 2015. Insignita di importanti premi, ha pubblicato sulle più prestigiose riviste di settore. Le sue sue poesie sono state tradotte in sei lingue. Ciò che l’ha fatta conoscere al grande pubblico è stata, nell’aprile del 2016, “Lemonade”, il visual album della celebre pop star Beyoncé Knowles che ha incluso alcuni dei suoi versi nel cd. Da allora è nata un’amicizia e una collaborazione con l’artista statunitense: Shire ha composto una poesia, “I Have Three Hearts”, per annunciare, nel 2017, la gravidanza della pop star che attendeva due gemelli e ha poi collaborato al film di Beyoncé, “Black is King”, nel 2020. Un’altra star ha fatto propri i versi di “Home”, Benedict Cumberbatch, per denunciare la crisi dei rifugiati siriani: -taglio2-“Nessuno esce di casa a meno che / la casa non sia la bocca di uno squalo”. Versi come pietre, dettati dalla tragica realtà di chi perde la casa, il paese, tutto ciò che ha. I “déplacé” sono le persone spostate, fuori di luogo, per vari motivi, economici, per le guerre, profughi che “vivono nei non luoghi della terra di mezzo”. Una poesia come testimonianza, come risveglio di coscienze sopite. A chi sottolinea il suo impegno, la sua bravura lei risponde semplicemente che in Somalia esiste “gabay” (poema epico): per ogni nascita, ogni morte, ogni importante evento e anche per ogni maledizione qualcuno dedica versi. Alla nascita di Warsan la nonna le dedicò una poesia su come una ragazza valga più di mille ragazzi, in barba al sessismo di chi augura figli maschi. Spiega anche, però, che la sua scrittura nasce da un’urgenza, tramandatale dal padre, giornalista politico che aveva denunciato la corruzione del governo, e dal dovere morale di farlo: “penso che ogni volta che provieni da un popolo che non ha voce, e tu hai una voce, come potresti non farlo?”, afferma. La sua ultima raccolta di poesie, “Benedici la figlia cresciuta da una voce nella testa”, racconta le voci dei reduci, dei defunti, degli esiliati, le mutilazioni dei genitali femminili, le ossessioni compulsive, la violenza della guerra. Lontanissima dal divismo, Shire sa anche prendersi lunghe pause per riflettere e per ascoltare storie di vita di madri e figlie adolescenti che trasforma in versi dolorosi ma anche ricchi di bellezza. Maresa Galli





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