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Volare sull’oceano

di Laura Fiore

Numero 219 - Aprile 2021

Giovanni Soldini, il più famoso tra i navigatori italiani, svela i segreti di questa sua grande passione


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Giovanni Soldini, famoso navigatore italiano in team e in solitaria, deve le sue tante vittorie ad una prima e fondamentale scelta, ovvero quella di abbandonare la vita conformista di Milano, la sua città di nascita, e iniziare ad andare per mare. Classe 1966 pratica la vela sin da bambino. -taglio- Tante le regate oceaniche al suo attivo, tra cui due giri del mondo in solitario: l’Around Alone, vinto nel 1999 e passato alla storia per il salvataggio di Isabelle Autissier, e il Boc Challenge del 1995, dove si qualificò secondo, 6 gare Québec-Saint Malo, di cui una vinta nella categoria monoscafi, 6 gare Ostar con due vittorie, 3 gare Transat Jacques Vabre, con una vittoria e più di 40 transoceaniche. Nel tempo ha stabilito importanti primati come il record Cadice-San Salvador (2012) e la New York-San Francisco Gold Route: 13.225 miglia in 47 giorni, 42’e 29”. Suo anche il nuovo primato della Rotta del Tè (2018): 3300 miglia in 21 giorni, 19 ore, 32’, 54”, stabilito nel 2015 sulla tratta San Francisco-Shanghai. E tantissime tante altre vittorie che determinano la sua celebrazione come velista. Tra 1994 e il 2008, afferma la sua vocazione di navigatore solitario vincendo molte regate internazionali. Dal suo esordio nel 1991 tanto vento è soffiato nelle sue vele, la sua pelle abbronzata, i capelli schiariti dal sole, mettono in risalto un navigatore che è stato sempre se stesso, orgoglioso della scelta fatta. Quando siete in team in regate non di un giorno, come affrontate le giornate? “Dipende dal tipo e dalla durata della regata che affrontiamo: se ad esempio la regata è di quattro, cinque giorni i ritmi sono molto dinamici. Non stabiliamo dei veri e propri turni, si va a dormire a rotazione ogni tanto. Per le regate di 36 ore, come la RORC Caribbean di 600 miglia, non si dorme. Per affrontare un record lungo, come Hong Kong – Londra, ci sono chiaramente dei turni fissi. A bordo l’equipaggio è di cinque, io sono fuori turno e ci sono due squadre da due, che si alternavano ogni quattro ore. Le manovre si fanno in tre e io sono sempre in coperta; mi occupo anche della meteorologia e della strategia. Per le nostre necessità, come ad esempio l’acqua potabile, abbiamo un piccolo desalinizzatore che produce circa trenta litri l’ora di acqua potabile, di solito lo accendiamo per due ore al giorno e per quanto riguarda il cibo mi piace usare cibo vero in pentola a pressione e non liofilizzati, l’alimentazione è importante.” Cosa insegna la vela e il mare? “ La vela ti insegna a vivere, perché la barca a vela è un piccolo mondo. C’è dentro tutto: rapporti umani, rapporti con la natura e se devi andare lontano capisci subito quali sono i problemi del mondo. L’energia è un problema, l’acqua dolce è un problema, la spazzatura è un problema. E’ un piccolo mondo dove ci sei tu e pochi altri e si deve organizzare al meglio.” Parliamo proprio del rapporto con la natura e quindi le problematiche ambientali legate all’inquinamento. Quale la sua opinione? “Navigando da tanti anni è per me palese lo sfruttamento eccessivo delle risorse. Ad esempio quando si incontra una flotta per la pesca intensiva fuori dalle coste africane non si può non essere preoccupati dello sfruttamento marino, così come eventuali macchie inquinanti in pieno oceano. Oppure all’equatore, nelle calme, il trimarano va piano e si vedono oggetti galleggianti di continuo: la bottiglia di coca-cola, il tappo, il pezzetto di plastica colorata. Tenendo conto che il 30% della plastica resta a galla e il resto affonda: si capisce che il mare sul fondale è molto inquinato. -taglio2-Il problema è riflettere che imparare a vivere su questa Terra in sintonia con quello che ci sta intorno è l’unica strada che permetterà un futuro ai nostri figli. E’ importante cambiare la cultura delle persone e prestare attenzione ai consumi e agli sprechi. Solo se lavoreremo insieme, rendendoci conto che siamo sulla stessa barca, chiamata pianeta Terra, forse troveremo una soluzione.” Hai navigato in solitaria per un bel po’ di anni, parlaci dell’esperienza… “La navigazione in solitaria è un’ottima scuola di vita, che io amo oltremodo, perché di fatto non puoi prendertela con nessuno, ma solo con te stesso. Impari a perdonarti e capirti, perché di errori ne fai sempre tanti, e devi considerarne la possibilità. Mi piaceva poi sapere che in gara c’erano tante persone speciali da tutto il mondo, navigatori francesi, inglesi, sudafricani, australiani, neozelandesi, pochi italiani, purtroppo, comunque sono stati anni stupendi. Ambrogio Fogar, Pierre Sicouri mi hanno preceduto, ma forse sono stato il primo a puntare la vita e la carriera sulla navigazione in solitario.” E’ sempre bello conoscere gli inizi. Com’è nata la sua passione per il mare? Da bambino mio padre mi portava in barca e ho iniziato a provare le prime forti emozioni. Grazie all’incontro con l’amico Vittorio Malingri ho avuto la possibilità di iniziare a lavorare in cantiere: ho costruito un prototipo del Moana a quindici anni. Con Vittorio e la sua famiglia, grandi navigatori italiani, ho fatto anche le prime esperienze in mare: i primi trasferimenti e le prime regate. La mia prima traversata atlantica è del 1989, a 23 anni, avevo fatto un trasferimento alle Baleari. Un signore anziano americano mi ha imbarcato: ho imparato in quell’occasione l’inglese, perché non sapevo una parola. Ho lavorato poi un paio d’anni con Vittorio nella base di charter che aveva fondato a Cayo Largo: dieci mesi a Cuba sono stati un’esperienza bellissima. Così è iniziata tutto.” Ci sono stati momenti in cui ha avuto paura? “La paura è una buona compagna di vita, potremmo paragonarla al buon senso. Grazie alla paura puoi vedere i tuoi limiti e i limiti della barca. Non è panico. Un po’ di timore non fa mai male. C’è stato un mio grande maestro, Franco Malingri, che aveva fatto il giro del mondo in famiglia, ad un certo punto ha avuto dei problemi ed è stato costretto a rientrare lasciando i figli, allora giovani, ad affrontare da soli l’Oceano Indiano. Prima di salutarli aveva lasciato loro una lista di raccomandazioni pazzesca, all’ultimo punto c’era scritto: ‘Se non avrete abbastanza paura non sopravviverete. “ Guardando verso il futuro cosa vede? “Spero di continuare a fare delle belle regate su Maserati Multi 70 . Vedo un futuro di persone che stanno crescendo, come Nico, il figlio di Vittorio Malingri, Matteo Soldini mio nipote, in parallelo con l’evoluzione della classe dei multiscafi. Quando siamo tre, quattro trimarani in regata è bellissimo ed entusiasmante e tra gli equipaggi c’è un bel clima sportivo”. La flotta dei multi cresce ed è sempre più attiva: alla Transpac Race eravamo in quattro, alla RORC Caribbean in tre. Forse parlano di aprire la Sydney-Hobart ai multiscafi. Tante ancora le regate cui partecipare, continuando a vivere sul mare e per il mare che ti cattura con la sua continua meraviglia.”





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