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Voci e suoni

di Gaetano Magliano

Numero 239 - Aprile 2023

È uscito lo scorso 31 marzo esce per DaVinci Publishing “Voices”, il nuovo disco di Esperanto, trio jazz formato da Luca Falomi, Riccardo Barbera e Rodolfo Cervetto.


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Uscito da poche settimana già ha convinto la critica e gli appassionati il nuovo progetto jazz firmato da Esperanto. Stiamo parlando del CD “Voices” (DaVinci Publishing) nuovo lavoro dell’ensemble jazz formata da Luca Falomi, Riccardo Barbera e Rodolfo Cervetto, che arriva a tre anni dall’omonimo album di debutto e ne rappresenta una naturale evoluzione in termini di suono ed arrangiamenti. -taglio- Le sonorità, infatti, sono avvincenti ed avvolgenti, e questo grazie anche alla presenza di diversi guest alla voce e strumentisti come Esmeralda Sciascia, Cluster, Petra Magoni, Stephane Casalta, Ensemble Tritonus, Alessia Martegiani e Anais Drago al violino, Tina Omerzo al piano, Edmondo Romano al sax, Olmo Manzano al cajon, ai bongos e alle palmas. Li abbiamo incontrati per farci raccontare qualche dettaglio in più in esclusiva per i lettori di Albatros Magazine. L'Esperanto è una lingua creata con lo scopo di facilitare la comunicazione tra persone di idiomi diversi. Ed è anche il nome del vostro progetto. In cosa la vostra musica e l'Esperanto si somigliano? “Abbiamo sempre considerato interessante il concetto di multiculturalità, cioè di far coesistere differenti linguaggi e matrici. Siamo tre musicisti di formazione jazzistica ma che hanno “frequentato”, ascoltato e suonato generi differenti e che in generale ragionano più sulla musica che sull’etichetta che a essa viene apposta. Il concetto stesso di jazz è quello di ascolto, ricerca, evoluzione. Ce lo insegnano i grandi della musica... e noi cerchiamo di farne tesoro cercando un nostro linguaggio e sviluppandolo.” La parola e quindi la voce hanno un ruolo portante anche nel disco "Voices" che rappresenta un'evoluzione per voi, dato che il precedente disco era strumentale. Cosa vi ha fatto cambiare? “Il nostro lavoro in generale si basa su composizione, ricerca del suono, interplay e improvvisazione. Il primo album è stato realizzato in trio in modo molto semplice e rispecchia pienamente la nostra natura primaria. Successivamente abbiamo composto nuova musica e suonandola abbiamo notato che i brani erano molto “cantabili”. Questo ci ha portati a voler espandere il sound del nostro trio con la presenza di altri timbri, sia vocali che strumentali, unici e caratteristici. È stato un processo molto stimolante e siamo molto contenti del risultato finale.” Potendo scegliere i brani più rappresentativi di "Voices", quali sarebbero?-taglio2- “Tutti i brani sono rappresentativi, perché hanno peculiarità che li rendono davvero unici. Si va da “Baia”, su cui ospitiamo la voce di Esmeralda Sciascia che canta in lingua Yoruba a “Partons” in cui Petra Magoni duetta in francese col cantautore corso Stephane Casalta, anche autore del testo, accompagnati dal l’ensemble Tritonus, passando per “Aymara” in cui interagiamo con i favolosi Cluster. Poi “Bebe” di Hermeto Pascoal, riarrangiata completamente e registrata con la bravissima Alessia Martegiani. E poi le collaborazioni con strumentisti: Anais Drago al violino su “Surat” e Tina Omerzo, Edmondo Romano e Olmo Manzano su “Sal”.” Come è stato invece lavorare con i tanti guest presenti in "Voices"? “Lavorare con i nostri ospiti è stato bello e stimolante, sia umanamente che creativamente. Ci hanno dato molti stimoli, mostrandoci a volte i nostri brani in modi diversi da come li avevamo pensati e sorprendendoci con soluzioni belle e imprevedibili. Purtroppo non è stato possibile chiuderci in studio con tutti loro... In alcuni casi ci siamo spostati in giro per l’Italia, per poter comunque incontrare i nostri ospiti e lavorare in presenza. In altri abbiamo lavorato a distanza ma mantenendoci costantemente in contatto, in modo da poter seguire la lavorazione.” Allargando l'orizzonte, in quale credete sia lo stato di salute del jazz e della world music nel 2023? “Il jazz sta vivendo un buon periodo: è entrato da anni nei conservatori e ora in Italia è anche rappresentato e tutelato dall’associazione MIDJ (Musicisti italiani di Jazz). Ci sono network internazionali e grande scambio culturale. In più sul territorio abbiamo molti festival la cui attività è possibile grazie all’intraprendenza di musicisti e appassionati di questo genere che sicuramente è di nicchia... ma una nicchia che si sta ritagliando uno spazio importante.”





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