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Storicizzare, per comprendere

di Pasquale Matrone

Numero 227 - Febbraio 2022

Le opere artistiche, e tra esse quelle che si esprimono con la scrittura, vanno analizzate e comprese innanzitutto ponendole in relazione col periodo storico in cui sono state create e tenendo conto delle coordinate filosofiche, letterarie, estetiche, antropologiche e politiche che ne attraversano il tessuto e la sostanza. Storicizzare, per comprendere, dunque. E neppure basta


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Le opere artistiche, e tra esse quelle che si esprimono con la scrittura, vanno analizzate e comprese innanzitutto ponendole in relazione col periodo storico in cui sono state create e tenendo conto delle coordinate filosofiche, letterarie, estetiche, antropologiche e politiche che ne attraversano il tessuto e la sostanza. -taglio-Storicizzare, per comprendere, dunque. E neppure basta. Chi indaga non può e non deve ignorare i riverberi che, non solo i grandi eventi dell’epoca, ma anche quelli relativi al personale vissuto dell’autore hanno avuto sulle sue produzioni e sulle dinamiche che ne hanno generato e governato lo spirito e gli scopi. Il discorso vale per tutte le realizzazioni strettamente ancorate allo spazio e al tempo in cui sono nate e tali da risultare incomprensibili e ininfluenti, se esaminate in epoca successiva. Storicizzare un’opera vuol dire non appiattirla sul presente, né fermarsi a un’indagine solo filologica. Altro errore da evitare è quello dell’attualizzazione a ogni costo, alimentatrice di forzature vistose e di ingenui e fuorvianti anacronismi. Affermare, ad esempio, “Le commedie di Aristofane sono, oggi più che mai, attuali”, tirandole in ballo e decontestualizzandole, equivale a falsarne la sostanza le intenzioni la voce e l’incisività.

Questo discorso vale, naturalmente, per ogni sorta di espressione artistica. Rimanendo nell’ambito della scrittura, va altresì sottolineata anche l’esistenza di libri non condizionati dai limiti suddetti e che, -taglio2-per questa loro caratteristica, meritano di essere definiti ‘classici’. Questi, sostiene Calvino, “non smettono mai di parlarci”, di narrarci cose nuove, di svelarci aspetti mai prima considerati. Si lasciano interrogare, ci stimolano a porre nuove domande e ci rispondono. E, nel mentre lo fanno, a loro volta ci interrogano, ci costringono a guardarci dentro, ad auto esplorarci a individuare nuove strategie di approccio col nostro io e con il ruolo da esso rappresentato nell’esistenza. In quanto classici, le opere dantesche, ad esempio, sono ancora fonte di stimoli pluridisciplinari di ampio respiro, sia per quello che dicono sia per gli orizzonti che schiudono e le verità che addirittura anticipano. Fermo restando che l’universo dantesco è fortemente influenzato dalla premessa tolemaica e da paradigmi dell’epoca, c’è chi, come Pavel Aleksandrovič Florenskij matematico, filosofo, teologo, poeta e sacerdote ortodosso russo, fucilato l’8 dicembre 1937 per odine di Lenin, riesce addirittura a individuare nella cantica del Paradiso un’anticipazione della fisica quantistica e delle geometrie non euclidee teorizzate nell’ottocento. Solo “un anticipazione” … E senza forzature.





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