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Santa Maria Capua Vetere

di Yvonne Carbonaro

Numero 176 - Aprile 2017

Una storia antichissima e tanti gloriosi reperti


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Città osca e a lungo etrusca, con la conquista romana divenne molto importante, la più grande dopo Roma. Si distinse per la produzione di beni di lusso: profumi, bronzi, ceramiche, unguenti, che venivano commerciati in tutto il mediterraneo. Aveva un teatro, un “collegium mercatorum” e vari porticati. Il suo anfiteatro, il secondo per grandezza dopo il Colosseo, fu sede della prima scuola di gladiatori, e fu il punto di partenza della rivolta guidata da Spartaco nel 73 a.C. su cui sono stati girati tanti film. Accanto all’anfiteatro è stato creato di recente un “Museo dei gladiatori” organizzato con criteri museografici innovativi, con didascalie esplicative e con un interessante taglio didattico. L’anfiteatro è aperto al pubblico, ma sebbene vi sia nelle vicinanze un grandissimo parcheggio per gli autobus, il numero di visitatori è scarsissimo ed è penoso costatare che un luogo tanto ricco di storia e di monumenti sia così poco frequentato dai grandi flussi turistici che vengono indirizzati solo verso Pompei ed Ercolano. Eppure qui è presente anche un Museo di grande importanza che esiste da molti anni e che Amedeo Maiuri definì “il più significativo della civiltà italica della Campania”. È il Museo Provinciale Campano di Capua, ospitato nello storico palazzo Antignano la cui fondazione risale al IX secolo, sulle vestigia di San Lorenzo ad Crucem, una chiesetta di età longobarda nel sito di uno dei tre Seggi nobiliari della città. Presenta uno splendido portale durazzesco-catalano con gli stemmi degli Antignano e d'Alagno. -taglio- Diviso in due reparti comprende una sezione Archeologica e una Medievale con annessa un'importante Biblioteca; occupa 32 sale di esposizione, 20 di deposito, tre grandi cortili, un vasto giardino. La prima sezione comprende un lapidario raccolto da Mommsen, varie sculture, sarcofagi, mosaici, vasi e bronzi, terracotte votive e architettoniche, monete. Ben cinque sale sono destinate alla insolita ed eccezionale raccolta delle Madri, unica in Italia. Secondo gli studiosi le "matres" che raffigurano in posizione prospettica una donna seduta, rivestita da una tunica o un lungo mantello e che regge in braccio e sul grembo uno o più bambini in fasce (due ne hanno addirittura 12 ciascuna), sono simulacri votivi di donne in atto di offrire se stesse e la propria prole alla divinità tutelare che era venerata nel tempio. Sarebbe stata questa la grande madre Iovia Damusa o Bona Dea patrona delle partorienti identificata con Cerere, dea della crescita, oppure la Mater Matuta, onorata a Roma con le feste Matralie e preposta alla fertilità. La sua statua, trovata negli scavi assieme alle Madri, porta nella mano destra una melagrana e nella sinistra una colomba, simboli della fecondità e della pace. La seconda sezione del Museo espone marmi romanici, capitelli, sculture federiciane, rinascimentali e dei secoli successivi fino al XVIII, una pinacoteca, un auditorium, iscrizioni longobarde, angioine, aragonesi, stemmi, ceramiche medievali. -taglio2- E per non finire di stupirci, la città custodisce il Mitreo con il dipinto tematico meglio conservato dell’antichità, essendo uno tra i rari santuari mitraici con decorazione pittorica. Il sacello dedicato a Mitra, antica divinità di origine persiana, testimonia della grande diffusione in Italia del culto misterico che anticipa in Cristianesimo e che era particolarmente seguito dai soldati che consideravano il dio come loro protettore. La sala principale, ha una pavimentazione in cocciopesto con frammenti di marmo inseriti ed è coperta da una volta a botte; sui lati lunghi sono addossati i banconi muniti di piccole vasche e pozzetti per abluzioni purificatrici, su cui sedevano gli iniziati al culto durante le cerimonie, che avvenivano sempre in grotte. Sulla parete di fondo, sopra l’altare, è dipinto un affresco raffigurante Mitra che uccide il toro. La scena si svolge, come è logico, davanti all’ingresso di una grotta, rappresentata in modo da risaltare sul fondo chiaro del cielo. Al centro vi è il dio che punta il ginocchio sinistro sulla groppa dell’animale, mentre con la mano sinistra afferra il muso della bestia per immobilizzarla e colpirla alla gola con il pugnale tenuto nella destra. Il toro bianco è ritratto con le zampe piegate. Mitra, in posizione frontale, è raffigurato giovane, con il costume orientale e il berretto frigio rosso con bordure in verde ed oro, da cui spuntano i capelli ricci con le ciocche scomposte che circondano il volto.


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