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Viaggio in Kenia

di Fabrizio Grieco

Nel cuore dell’Africa, un suggestivo itinerario non privo di insidie fra i luoghi caratteristici di uno dei paesi più visitati del continente nero… con un finale ricco di patos!


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Nairobi è insospettabilmente fredda di sera. Vi arrivo in un gelido pomeriggio rispondendo all’invito di un caro amico che da anni mi proponeva di andare a trovarlo in Kenia. L'orario del lavoro è appena finito e lunghe file di lavoratori di colore affollano i lati della trafficatissima strada, piena di auto sgangherate. Sono i giardinieri e la servitù delle ville dei ricchi, dei diplomatici, dei responsabili delle ONG (le cosiddette organizzazioni umanitarie), sono poveri e vanno a piedi, anche per decine di chilometri. Ai lati della strada giganteschi alberi ospitano immensi uccelli bianchi che non avevo mai visto. L'autista, esaurito dal traffico, passa strombazzando il clacson tra la folla variopinta, salta il cordolo stradale e si lancia in uno sterrato al confine con il grande parco che taglia la città. In uno strano inglese misto a swaili mi spiega che lì ci sono i leoni, tanti leoni e che cambiare una gomma bucata qui sarebbe molto rischioso. Non ne dubito affatto! Ad un tratto riprendiamo la strada asfaltata e costeggiamo l'enorme slum (quartiere molto povero) al centro della città, nascosto in una valle alberata, a ridosso dei quartieri ricchi, ed infatti improvvisamente tutto cambia. Ville bellissime in stile coloniale fanno capolino tra giardini lussureggianti, profumo di fiori e guardie masai armate di pugnale. Non c'è recinto che non sia elettrificato. In ogni casa c'è la panic room, l'ultima stanza blindata dove rifugiarsi in caso di aggressione, ma tutti mi giurano che tutto sommato, per essere in Africa, Nairobi è una città tranquilla. Io comunque sono qui per andare a visitare il Masai Mara, anche se solo per un paio di giorni. La televisione satellitare ci infarcisce tutti i giorni di leoni, gnu, iene ed elefanti: voglio vederli da vicino. Prenoto quindi un safari, costa poco ed è in tenda, inizio a domandarmi dove mi manderanno... Parto di buon mattino con un nuovo driver, questa volta su un minivan a quattro ruote motrici, alla volta della Rift Valley. Piove e la strada è un delirio: camion, carri trainati dai buoi, autobus, buche dappertutto e niente guardrail per questa arteria importantissima. Tutti corrono come pazzi e il lato in cui si guida fa poca differenza. Il driver è in gamba, era pilota di rally e me lo vuole dimostrare. Decido quindi di fingere di dormire per non dargli soddisfazione così magari rallenta. Ai lati della strada scopro che le orribili baracche di lamiera sono cinema ed alberghi e i prezzi sono scritti sul metallo con lo spray. -taglio- Poi ci avviciniamo al Masai Mara, parte del più imponente Serengheti, famoso per la grande migrazione degli gnu, la più grande biomassa in movimento che attira folle di turisti durante il mese di agosto. Gli insediamenti si diradano e iniziano le vacche, le cui interminabili mandrie condividono lo spazio con gli animali selvatici. È il bestiame dei Masai, gli abitanti di queste terre. Alti, magri ed elegantemente vestiti di colori sgargianti risaltano nella savana mentre camminano scalzi con le lunghe lance. I colori servono a spaventare le fiere con cui essi convivono da millenni. Ormai siamo all'interno del parco, un altopiano immenso interamente coperto di prato, nient'altro che un pascolo di incredibile vastità. L'occhio spazia su un orizzonte infinito e già vedo correre giraffe, facoceri e zebre: non avevo mai visto niente di simile, è bellissimo! Incontriamo gruppi di elefanti, ghepardi che sbranano le prede, leoni. Finalmente arriviamo al “campo”. Ma avevo capito male ed è tutt'altro che un campeggio, si tratta di un grande resort chiamato Fig Tree Camp in onore dell'immenso albero di fico tropicale che troneggia su un'ansa del fiume Talek, al confine nord della riserva. Una enorme struttura in legno e paglia finemente decorata fa da ristorante e le stanze sono sì tende, ma a dir poco enormi e lussuose: all’interno oggetti di valore e letti a baldacchino, solo il bagno è in muratura. E' davvero un’installazione prestigiosa e piena di storia, le pareti del ristorante sono tappezzate di foto in bianco e nero dei tempi in cui qui i safari si facevano con i fucili invece che con le macchine fotografiche. Una grande caldaia a legna scalda l'acqua per le stanze. Tutte affacciano sul fiume pieno di coccodrilli, e questa volta a are il bagno insieme a loro c'è anche una famiglia di ippopotami. So che gli ippopotami sono gli animali più pericolosi d'Africa ma i Masai mi dicono che non c'è da aver paura: il bordo del fiume è protetto dal recinto elettrificato e i bestioni di giorno non si muovono dall'acqua per il caldo e di notte sono spaventati dalle luci (Beato chi ci crede!). Intanto scopro di essere praticamente l'unico ospite, il giorno dopo arriveranno altri turisti ma ora il ristorante è tutto -taglio2- per me. Ordino la cena e mi viene servita la carne più buona che abbia mai mangiato! La carne in Kenia è sempre eccezionale e una buona bottiglia di shiraz sudafricano mi fa compagnia sul piccolo portico di legno davanti alla tenda. I rumori della savana sono inquietanti e spettacolari, e la completa solitudine accentua in me la sensazione di comunione con la natura ma nel contempo mi provoca anche una certa tensione. La stanchezza si fa sentire, il letto drappeggiato è invitante e di un lusso inaspettato. Mi sveglio all'improvviso al suono di una specie di tamburo rimbombante. Cerco di accendere la luce ma non c'è corrente. Ancora quel suono spaventoso. Ad un tratto capisco: si deve essere rotto il generatore. Quindi niente luci, niente recinto elettrificato e gli ippopotami stanno scalando la riva. Il verso che fanno è terrificante, roboante, non avevo mai sentito nulla del genere. Silenziosamente, scalzo e in mutande mi alzo dal letto, con passo felpato mi chiudo nel bagno in muratura, sento invece i passi pesantissimi del bestione fuori e il suo respiro roco e pesante. Ho freddo e paura e mi seggo sul water immobile e al buio. Mi sento un cretino e pur non essendo incline al panico non so davvero che fare. Fondamentalmente non c'è niente da fare, aspetto silenziosamente: verrà qualcuno o il mostro andrà via. Passa un tempo indefinito, due, forse tre ippopotami passeggiano indisturbati in mezzo alle tende distruggendo e mangiando i cespugli delle curatissime aiuole. Dal pavimento gelido il freddo si trasmette ai piedi e alle gambe, sto tremando. Non so quanto tempo passa, mi sembra un'eternità ma piano piano mi rilasso, i passi si fanno più lontani, il rumore cambia, i bestioni stanno tornando nel fiume schiacciando i rovi e schiantando gli alberelli di acacia che crescono sulla sponda. Ad un tratto mi rendo conto che è tornata la corrente, mi guardo allo specchio: sono bianco come un cencio. Sto gelando, mi metto addosso tutti i panni che ho e provo a dormire, ma so già che non chiuderò occhio. Ma del resto ai safari si va anche per l'adrenalina, no?


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