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Roma, nemica dei luoghi comuni

di Franco Salerno

Numero 177 - Maggio 2017

La letteratura latina, da Lucrezio a Gellio, combatté gli stereotipi attraverso i secoli


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La mentalità comune da sempre è piena di stereotipi, di luoghi comuni, di frasi fatte, a cui non riescono a sottrarsi nemmeno coloro che sono o si ritengono cólti e liberi nei loro giudizi e nelle loro valutazioni. Ad esempio, il nostro Belpaese purtroppo viene spesso associato alla pizza e agli spaghetti o, peggio, alla violenza e alla mafia; idee diffuse e pre-confezionate, queste, che offuscano e deformano la storia e la fisionomia del nostro Paese. Tale atteggiamento oggi appare incomprensibile nella società del villaggio globale, abitato dall’homo semper connexus, che può agevolmente sfatare un luogo comune attraverso un controllo rigoroso delle notizie, in modo tale che le fake news possano essere eliminate dall’hard disk della memoria collettiva.
Questa lotta tra falsità del luogo comune e la verità dei fatti attraversa assialmente tutta la cultura dell’antica Roma, che, come al solito, è maestra di saggezza. -taglio- Ripercorriamo, allora, insieme ai nostri lettori, le varie tappe di questo match, che parte da un’epoca di più venti secoli fa e di tanto in tanto, tra round alterni assegna talvolta alla Verità la palma del trionfo. Concentriamo la nostra attenzione su un proverbio latino che canta, di contro alla menzogna degli stereotipi, la luce sfolgorante della Verità. L’aforisma in relazione a questa tematica recita: “La verità è figlia del tempo”. Esso, coniato da Aulo Gellio, scrittore latino del II C., si presta a due interpretazioni. La prima, secondo cui l’Autore prevede che il passar del tempo ristabilirà alla fine la verità eliminando la falsità del luogo comune. La seconda, nella versione più ampia di Bacone (“La verità è figlia del tempo, non dell’autorità”), equivale alla tesi per cui in futuro tempi migliori, più razionali e veritieri, ristabiliranno la verità, contro la quale nulla avrà potere, nemmeno l’autorità del Potere stesso. E così stato in realtà nella storia, nel corso della quale abbiamo assistito alle giuste riabilitazioni di Galilei, Savonarola e Lutero, per citarne solo le più famose. -taglio2- Eclatante, infine, è il caso di un grande poeta latino, Tito Lucrezio Caro (I sec. a. C.), che si prefissò come finalità del suo poema filosofico, il “De rerum natura”, l’obiettivo di liberare l’uomo da quelli che egli considerava gli stereotipi più pericolosi per la felicità dell’uomo: la paura degli dei e la paura della morte. Gli dei -sosteneva lui- non esistono e, se esistono, vivono felici negli “intermundia”, una sorta di luogo paradisiaco a loro riservato, per cui non si preoccupano affatto delle vicende umane. Anche la morte, per lui, non può spaventarci, perché, quando ci siamo noi, lei non c’è e, quando c’è lei, non ci siamo noi: quindi non solo la sua assenza, ma anche la sua presenza non deve preoccuparci. Ebbene, contro questo scrittore rivoluzionario fu sferrata una lotta senza quartiere, tesa ad imporre una spietata “condanna della memoria”. Ma i sostenitori degli stereotipi, nemici giurati di Lucrezio, hanno perso la loro guerra. Oggi, questo poeta-filosofo, seguace dell’epicureismo, è considerato uno dei pilastri della cultura occidentale.





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