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Richard Powers

di Maresa Galli

Numero 212 - Luglio-agosto 2020

Il confronto tra l’uomo e la natura, il delicato, ancestrale dialogo tra questi due mondi è materia di racconto per lo scrittore Richard Powers


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Nato ad Evanston, in Illinois, classe 1957, una laurea in Letteratura, è stato docente all’Università di Stanford a Palo Alto, in California, Richard Powers attualmente insegna scrittura creativa all’University of Illinois. Da sempre mostra interesse per gli effetti della scienza e della tecnologia sulla vita umana e analizza l’antropocentrismo e le sue pericolose derive. -taglio-I suoi pensieri filosofici, l’incontro tra natura e cultura, personaggi molto particolari permeano i suoi dodici romanzi, da “Tre contadini che vanno a ballare…”, pubblicato nel 1985, a “Il dilemma del prigioniero”, da “Operation Wandering Soul” a “Galatea 2.2”, da “Plowing the Dark” a “Il tempo di una canzone”, da “Il fabbricante di eco” a “Generosity”. Lo scorso anno vince il Premio Pulitzer per la narrativa con “Il sussurro del mondo” (The Overstory). Nel romanzo, “melvilliano”, i diversi racconti sono un affresco di storia americana, con la sua letteratura, con citazioni di Whitman, Emerson, Thoreau, con l’incrocio di tanti elementi: la cultura delle tribù dei nativi americani, gli inni vedici, le poesie dell’antica Cina, gli scritti di esploratori e di botanici. La storia di Powers parte dal presupposto che gli alberi parlino e che le parole non siano in grado di tradurre le loro emozioni ancestrali, molto più antiche dell’uomo. Solo ad alcuni esseri umani, dopo eventi particolari, è dato “sentire” i messaggi inviati dagli alberi. I nove personaggi umani del romanzo rappresentano nove archetipi dell’antropocene, ciascuno abbinato ad un tipo arboreo. Le quattro sezioni del libro - Radici, Tronco, Chioma e Semi, pongono il lettore in ascolto delle risorse naturali troppo a lungo sfruttate e devastate con gli effetti che tutti vedono. Il romanzo di Powers demolisce il mito del progresso senza fine, l’antropocentrismo “che ci fa considerare gli unici esseri viventi sulla Terra”,-taglio2- mentre potremmo giungere al senso dell’esistenza includendo nella “formula” anche le altre forme di vita, non umane. “Vogliamo credere che gli esseri umani siano abbastanza potenti da gestire e controllare il resto del mondo vivente – spiega l’autore - osiamo perfino sperare che se giochiamo le nostre carte bene e non facciamo errori, possiamo evitare anche la morte”. Contro questa “solitudine della specie”, l’umanità ha dinanzi una sfida: creare un’alleanza con le piante che possono anche “esercitare una colossale azione psicotropica e riorientare la mente degli uomini, incantata dal racconto malefico del progresso senza fine, della crescita economica illimitata. Gli alberi sono molto più “social” di quello che pensiamo”, afferma lo scrittore che invita a rileggere l’evoluzione darwiniana, poiché la “sopravvivenza del più forte” significa la sopravvivenza di quelle creature che si adattano meglio all’ambiente circostante. “Questo romanzo è un libro politico e un atto di protesta. Non è una storia sull’ambiguità della morale. È una chiamata alla rivoluzione”, conclude Powers che condivide la preoccupazione di un altro grande scrittore, Amitav Ghosh (“La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile”). L’errore più grande è stato quello di pensare di avere sconfitto il ciclo della vita e della morte, l’interdipendenza dagli altri esseri viventi, dai loro processi e reti reciproche. Tanti lettori scrivono a Powers ringraziandolo di aver dato loro una nuova percezione della natura presente anche nelle città, troppo spesso ignorata o calpestata. Gli esiti sono le ferite inferte al mondo che si ripercuotono proprio sulla vita umana sul pianeta, mai così a rischio. Gli alberi, per dirla con l’autore, sapienti, solidali, una grande, interrelata comunità, ci sopravviveranno ancora a lungo.





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