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Raccontare, oltre il deserto

di Pasquale Matrone

Numero 214 - Ottobre 2020

Raccontare, oggi. Che cosa e perché? Diverse le risposte


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Raccontare ai bambini, è un modo per avviarli a conoscere la realtà, oltre il visibile immediato nel proprio quotidiano spazio vitale. Chi narra fiabe, favole e novelle usa codici e parole adatti a un uditorio innocente, pronto ad accogliere messaggi insaporiti con un’accattivante miscela di verità fantasia sogno invenzione… -taglio-E fa bene: allena i sensi; abitua, non solo a vedere odorare assaporare e toccare, ma anche ad ascoltare; e, poi, a immaginare, ad astrarre; a scoprire in sé sentimenti: gioia, dolore, amicizia, affetto, gelosia, invidia, paura, coraggio, pentimento, vergogna, perdono, solidarietà… Tutto questo serve a formare: il carattere, l’intelligenza, la capacità d’interagire con gli altri in maniera efficace a livello affettivo e intellettivo. La parola narrata, e, poi, letta e compresa, aiuta, altresì, il lettore a distinguere il bene dal male, il bello dal brutto, la verità dall’invenzione e, soprattutto, dalla menzogna. E agli adulti? A loro va raccontata la vita, senza filtri edulcoranti o intossicanti. Va descritta nuda e cruda, con ombre e luci, abiezioni e virtù, egoismi e generosità… Raccontare l’esistenza serve, se chi lo fa, sa portare sulla scena creature inermi e fragili, dannate a confrontarsi con un male di vivere contro il quale pochi e inefficaci sono i rimedi possibili: genitori, inadeguati a sostenere il loro ruolo e che fanno fatica a dialogare tra loro;-taglio2- larve appena abbozzate di donne fatali, vittime e carnefici insieme, incapaci di lasciarsi attraversare dalla sia pur minima emozione; uomini insensibili e rozzi, pronti a fare uso della violenza; giovani, che, privi di modelli positivi e di tensione morale, si trovano catapultati nell’universo degli adulti senza essere in possesso dei requisiti culturali ed etici adatti a renderli protagonisti della loro vita, anziché comparse, e, soprattutto, padroni del proprio destino. Tra coloro che hanno affrontato questi temi, Tozzi, Pavese, Hemingway, Carver, Fante… Hanno scelto, infatti, di ritrarre, con distacco calcolato, i ritmi e le ombre di un’esistenza segnata dall’indifferenza, dall’incomunicabilità dalla solitudine e dal dolore…Raccontare il deserto è doveroso. Ma non basta. La scrittura, evitando lagrime e vittimismo, deve andare oltre, trasmettere un barlume, almeno, di speranza e di inquietudine costruttiva: quella che stimola gli uomini a non sprecare il fiato in lamenti, bensì a riprogettarsi, a riscoprire e a usare al meglio le proprie risorse.





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