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Profeti di un’alba nuova

di Franco Salerno

Numero 201 - Luglio-agosto 2019

Lucrezio e Virgilio fecero della Libertà il faro della loro vita


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Spesso in questi nostri tempi travagliati ci chiediamo: “Che cosa è giusto?”. Allora ci guardiamo intorno e scopriamo che una marea di leggi e regolamenti, imposti dalla burocrazia o da un tipo di legislazione elefantiaca, ci detta precetti, decisi, quasi sempre, da altri al posto nostro. Come se una forza a noi esterna e superiore ci dicesse che cosa fare e che cosa non fare. A questo punto un dilemma ci domina e ci preoccupa: “Ma la libertà è davvero possibile o è solo una vuota chimera?” L’universalità di questo tema ci spinge a dare uno sguardo al passato, alla civiltà romana per vedere come esso si è evoluto. E forse scopriremo che ancora una volta i nostri antenati qualche soluzione l’avevano inventata. Il nostro viaggio a ritroso nel tempo prevede l’incontro con due poeti. Il primo è Tito Lucrezio Caro, autore del più rivoluzionario Poema filosofico dell’antichità: “Sulla natura”. -taglio- Con i suoi aurei versi questo poeta esaltò la libertà dell’intelletto, la creatività dei sapienti, l’audacia dei pensatori che fiondano i loro occhi per l’immenso infinito e dalle lande del Cosmo riportano idee che possono servire al miglioramento dell’umana condizione. Egli osò tuonare contro la superstizione religiosa che ingenerava la paura degli dei. Come anche osò esortare gli uomini a non avere più timore della Morte. Perché, quando ci siamo noi sulla Terra, Lei non c’è; e, invece, quando c’è Lei, noi non ci siamo più. Una profonda riflessione esistenziale, insomma, che invitava a trovare dentro la propria coscienza il vero senso del Sé. E questo in una società, quale quella cesariana, fondata sulla guerra, sull’obbedienza allo Stat, sullo strapotere delle leggi e delle convenzioni e sul rispetto della tradizione religiosa. Ci provarono, in molti, forse anche il grande Cicerone, a seppellire Lucrezio con una “damnatio memoriae”; ma non ci riuscirono. Perché, viceversa, i posteri a Lucrezio, intellettuale anomalo e ribelle, hanno eretto un monumento più duraturo del bronzo. Diverso, ma -taglio2- complementare, il caso di Virgilio, autore del più grande Poema epico della letteratura latina: l’ “Eneide”. Virgilio, a differenza di Lucrezio, era molto legato alle sfere del Potere della sua epoca, quella augustea. E “Augusteis” avrebbe dovuto chiamarsi l’“Eneide”. Questo avrebbe limitato di molto la libertà del poeta e lo avrebbe appiattito su un’ipocrita lode al primo Imperatore. Invece, Virgilio preferisce alla storia il mito e fa scendere Enea negli Inferi affinché riceva la profezia sulla grandezza della Roma futura. Profezia: parola sacra per un poeta. Perché “profeta” è sia “colui che parla prima degli altri”, sia “colui che parla davanti agli altri”, sia “colui che parla a nome di un Altro”, cioè di un’entità superiore. Il profeta, naturalmente, è libero e le sue parole vanno al di là della banale realtà. Proprio come succede a Virgilio, quando profetizza nelle sue “Bucoliche” una nuova età dell’oro, fondata sulla pace e sulla prosperità. Quest’epoca forse non si è mai squadernata dinanzi ai nostri occhi, ma la sua attesa ci ha dato la forza e la speranza, doti tipiche dell’uomo libero.





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