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Piero Guccione

di Joanna Irena Wrobel

Numero 193 - Novembre 2018

Incisivo e sintetico, coerente e severo, geniale e profondo, classico e romantico, l’unico a saper tradurre colori in emozioni, Piero Guccione si è spento qualche giorno fa a Modica...


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Incisivo e sintetico, coerente e severo, geniale e profondo, classico e romantico, l’unico a saper tradurre colori in emozioni, Piero Guccione (1935, Sciclì), si è spento qualche giorno fa a Modica. Forse il più grande pittore italiano dei nostri tempi, forse il più “celeste” con le sue straordinarie opere dedicate all’azzurro del cielo e del mare della ragusana Sampieri, forse il più misterioso tra gli artisti contemporanei, forse…Senza dubbio, Guccione è stato solo Guccione, e per sempre lo sarà: l’unico, irripetibile, grandioso! Si forma in Sicilia, nel 1954 si trasferisce a Roma dove completa gli studi all’Accademia di Belle Arti ed entra in contatto con Renato Guttuso, di cui sarà l’assistente alla Cattedra di Pittura (1966-69). La pluriennale collaborazione con il grande maestro influenza notevolmente le inclinazioni realiste del Guccione, che in seguito, subiranno anche il fascino di uno straordinario Francis Bacon. A Roma, Guccione è tra i fondatori del gruppo “Il pro e il contro” (insieme a Attardi, Calabria, Farulli, Guereschi, Gianquinto e Vespignani): un collettivo che ha rappresentato un punto di riferimento per la pittura realista di quegli anni. Gli esordi di formazione e di sperimentazione dell’arista siciliano, sono comunque caratterizzati da una grande autonomia e nel tempo lo porteranno a compiere uno straordinario, infinito e singolare viaggio creativo in solitaria, caratterizzato da numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero. -taglio- I primi anni Sessanta, vedono un alternarsi di opere dedicate al tema della condizione umana (non di rado nella versione ciclica) con i temi concentrati sulla bellezza della natura e del paesaggio circostante. Temi forse comuni, ma affrontati con un linguaggio innovativo e fortemente personale, che si evolve e cristallizza con il passare del tempo, per diventare immediatamente riconoscibile e non somigliare, mai più, a nessuno. Sono gli anni delle terrazze assolate, delle ritmiche cancellate di ferro, delle immagini contorte riflesse nelle lamiere delle automobili, dei neri fili elettrici che fendono l’azzurro dei cieli, delle totemiche antenne sui tetti romani. Un mondo frammentato, fatto a pezzi, racchiuso in scorci insoliti da un taglio quasi fotografico. Nel 1979, Guccione ritorna per sempre nella natia Sicilia, dove si stabilisce in campagna tra Sciclì e Modica. Una decisione determinante ed eroica, un tentativo di trovare quell’Itaca sognata a lungo, dove vivere e creare in santa pace, abbandonando definitivamente le metropoli con la loro effervescenza culturale e artistica, luoghi in cui anche i riconoscimenti della critica sono stati notevoli e significativi. Comincia allora, l’avventura infinita dell’acqua, del cielo e della natura iblea. Il mare diventa l’assoluto protagonista della sua ricerca artistica e stilistica, tutto si tramuta in linee orizzontali, mai troppo nette e definite fino in fondo. Il confine tra l’acqua e le nuvole è sempre più labile, anche se si riescono ancora a scorgere le sagome delle petroliere. Al nebuloso orizzonte si interpongono, come -taglio2- guide per lo sguardo, le sottili tracce dei fili elettrici. L’azzurro piatto e baluginante avvolge tutto, creando una coltre indecifrabile, un velo di mistero, una foschia impenetrabile. Con gli anni, quel mare quieto e fiabesco, comincia a trasformarsi, diventa inquieto e minaccioso, protagonista di ansie e di ripensamenti. Cambiano i ritmi, le linee orizzontali si increspano, mutano le cromie, assumendo toni rosati e violacei. Meraviglia e stupore, incanto e devozione, una sorta di “visibilio” (come lo definisce Gesualdo Bufalino), cioè l’estasi dello sguardo, dell’occhio che si innamora del Creato, muovono la mano dell’artista e poi, suscitano nello spettatore un’onda di sentimenti inusuali, che difficilmente oggi, si possono provare davanti ad un’opera d’arte. I dipinti di Guccione, a prima vista semplici e sintetici, in effetti sono di grande complessità. L’artista non si pone mai il problema della propria contemporaneità come linguaggio, ma è sempre un vero contemporaneo nella lettura, nella interpretazione e nella restituzione creativa della realtà, inestricabile sintesi tra sguardo, mente, cuore, passione e pulsione. Il suo personale dialogo con l’azzurro del cielo e del mare è sempre solitario, è solo suo, può essere condivisibile con gli altri solamente dopo averlo dipinto. Un mondo a parte, intimo e pieno di poesia, illuminato da una luce morbida, pervaso fino all’ultimo confine della terra da un azzurro celestiale, una fiaba infinita tessuta da un narratore toccato, per sempre, da una grazia divina.


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