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Oltre le parole

di Teresa Pugliese

Numero 193 - Novembre 2018

GiaGGio, producer e dj, ci racconta del suo nuovo disco Ban from all areas. Un cd senza espressioni e ricco di tanti significati


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Un inno a lasciare tutto da parte e ad immergersi completamente nella musica. Questo è il messaggio che vuole trasmettere GiaGGio, batterista e percussionista che con il suo nuovo disco “Ban from all areas” irrompe per la prima volta sulle scene musicali. Un percorso strano quello di GiaGGio, che ha all’attivo tre tour Europei e uno tra USA e Canada. Ha iniziato suonando nei club underground, da Berlino a Parigi, da New York a Toronto, fino a Los Angeles. Claudio Mazzarago, questo il suo vero nome, a ventiquattro anni insegna batteria e percussioni in quattro accademie romane e durante questo periodo ha deciso di sperimentare con gli strumenti elettronici. Fonda così una etichetta digitale, è responsabile della direzione musicale della galleria d’arte “Le Muse Factory” e pubblica un disco con la band “The Yellow”. Nello stesso periodo vince la biennale MArteLive come best Electronic Performer e la sua versione elettronica del brano “Swingin’London” è su MTV New Generation. Adesso arriva il suo primo disco, un progetto nato dall’idea dell’artista di uscire dal coro e di distinguersi dallo stereotipo del producer e del dj. GiaGGio vuole, al contrario di altri artisti, raccontare un mondo che ha i suoi contenuti, anche se non sono raccontati a parole.

Di cosa racconta questo tuo primo disco? -taglio- “È un disco di musica elettronica, non cantata, è solo musicale. Ho cercato di dare un senso di utilità ai brani e un significato. Normalmente un brano senza testo si fa difficoltà a capirlo, così come è difficile esprimere un significato senza le parole; io ho cercato a monte di dare un senso ai brani e una continuità, prima con le emozioni che hanno dato a me mentre li componevo, e poi successivamente, in modo più semplice e diretto regalando queste emozioni a chi non le conosce. Per questo motivo ho creato dei titoli che esprimessero un concetto, che è quello di uscire dai canoni e dallo stereotipo del dj e del produttore di musica elettronica, che normalmente viene visto come un soggetto che esprime una musica senza significato. Spesso si va a ballare, ad ascoltare musica per farsi vedere, per mettersi in mostra, perdendo la bellezza di andare a sentire un concerto, di andare a vedere un artista, volevo esprimere una musica che interessasse il pubblico per quello che è realmente.”

Uno dei tuoi slogan è “giù i cellulari, via le fotocamere, via i social”. Come mai questa proposta controcorrente?

“Quando si va ad un concerto, ci si trova davanti ad un artista che sta suonando, ed invece di vederlo con i tuoi occhi, te lo ‘godi’ attraverso un cellulare. Secondo me è sciocco andare ad un live e riprenderlo tutto con una -taglio2- videocamera. Bisognerebbe fissarlo nella propria memoria non in quella del cellulare. Il mio slogan vuole spronare a sentire di più quello che ci vuole dire l’artista, cercando di essere più vicino a lui invece che a riprenderlo.”

Hai un percorso molto particolare, hai suonato molto all’estero. Ti piacerebbe un tour tutto italiano?

“Assolutamente sì. Io sarei molto contento di fare delle date in Italia, mi è capitato di fare qualche concerto, con un po’ più di fatica, però l’ho fatto. Adesso faremo la promozione del disco in 6 date che non sono tantissime e non coprirò tutto il Paese, ma spero di poterlo fare in un futuro non troppo prossimo.”

Ti senti un artista po’ fuori dai canoni, un po’ “diverso”?

“Mi piacerebbe essere considerato diverso, non so se lo sono, ma vorrei esserlo in qualche modo! Questa per me è una qualità. Noi siamo un po’ tutti diversi, non amo molto l’omologazione. Se qualcuno mi da del diverso sono contento di esserlo, se questo significa avere qualcosa da dire.”

Sogni una collaborazione con qualche artista in particolare?

“Potrei citarne una dozzina. Se proprio devo pensare in grande potrei dire i Daft Punk, in assoluto i miei preferiti sopra ogni cosa.”





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