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Music for life

di Antonino Ianniello

Numero 231 - Giugno 2022

Il basso di Gigi De Rienzo è sempre una garanzia, apprezzato dalla critica e dai più grandi musici-sti del nostro tempo


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In questo numero di Albatros Magazine, indirizzeremo la nostra attenzione su un musicista napo-letano. Parleremo di un bassista, Gigi De Rienzo, che è tra i più stimati musicisti dell’area parte-nopea ed in tutto il nostro Paese. Insomma, tra gli artisti del ‘quattro corde’, De Rienzo, bassista elettrico delle prime (ma anche di quelle ultime) band di Pino Daniele e con il quale era legato da stima in dissoluta, -taglio-è tra quelli più apprezzati e stimati all’interno dei bassisti italiani. Stiamo par-lando di un professionista eccellente, dai modi molto gentili e marcatamente signorili … parliamo di un artista che sembra essere quell’eterno ragazzo dalla volontà di un musicista che vuole ancora scalare montagne. È vera, dunque, quella convinzione secondo la quale … la musica non conosce dati anagrafici e che ti conserva una mente giovane. Gigi De Rienzo risponde perfettamente a questo stereotipo. Gigi, poi, è anche una sorta di autodidatta (cosa che, per certi versi, è anche un vantaggio perché libera la fantasia) e si è formato da solo… con la fame di apprendere continua-mente. È anche per questo che merita di gran lunga d’essere annoverato tra i bassisti più validi. De Rienzo, devo dire, mi rimase molto impresso per il suo modo garbato di suonare il suo stru-mento. Un carattere mai invadente - dote che è riscontrata in pochi - accompagnato da un’eleganza che gli regala l’etichetta di ‘bassista ideale ed essenziale’… pur non ostentando vir-tuosismi che pure possiede. Personalmente lo ricordo sin dai tempi del secondo ed omonimo al-bum di Pino Daniele, dov’era presente nella settima traccia: ‘Ue Man’ e poi nel grande terzo al-bum ‘Nero a Metà’ che registrò con Pino Daniele nel 1980 sempre per la ‘Emi Italiana’. Non bi-sogna tralasciare la figura di De Rienzo anche nelle vesti di autore e produttore. Negli anni 70, ha collaborato con molti artisti nei suoi diversi ruoli. Inizia con Tony Esposito e partecipa a dischi storici e festival internazionali: ‘Montreaux Jazz’, ‘Parco Lambro’ e così via … Si forma, ancora, incontrando sulla propria strada musicisti come Don Cherry e Paul Buckmaster. «Mia madre, nel sessantasette, mi regalò - era un mio desiderio - una chitarra. Durante i primi anni, ‘sopravvive-vo’ in bilico tra i due strumenti … poi, nel tempo, il basso è diventato il mio sostegno. Non ho fre-quentato Conservatori, non ho seguito scuole di musica e dopo il liceo, frequentai la facoltà di Ar-chitettura, provando a diventare una persona ‘normale’ ma la musica, poi, si è rivelata l’unica strada. A 19 anni iniziai a incidere con Tony Esposito l’album ‘Processione sul Mare’ dove ho suonato sia il basso che la chitarra. Tutt’oggi accade ancora ed alla chitarra compongo spesso. Il perché ci avviciniamo a uno strumento e non ad altri ce lo diranno gli scienziati, un giorno. Capi-re quanto groove ha una persona dentro resterà un mistero.» Gigi De Rienzo ha, tuttavia, da po-co (considerato il Covid che ha stravolto un po’ tutto e tutti) introdotto, nel circuito discografico, un suo nuovo lavoro ‘Viaggio in Italia’, prodotto dall’ etichetta ‘Parco della Musica’ e realizzato insieme a Vittorio Riva (batteria), Marco Zurzolo (sassofoni) e Carlo Fimiani (chitarre): quattro musicisti, quattro amici con tante esperienze e progetti diversi all’attivo, decidono di condivider-ne uno nuovo e ambizioso: raccontare l’Italia attraverso la musica che da sempre la rappresenta nel mondo. Ci racconti come nasce questo tuo ultimo progetto discografico? … E qual è stato il criterio che ti ha fatto scegliere questi validissimi musicisti? «Qualche anno fa Vittorio Riva, che conosco da decenni, mi chiese se avevo un’idea per fare un progetto insieme. Mi sono chiesto quale materiale potevamo affrontare in maniera naturale che fosse interessante anche per un eventuale ascoltatore straniero. Da lì l’idea di scegliere brani appartamenti alla tradizione italia-na, i più diversi, dall’opera alla canzone napoletana e italiana in genere, passando per le colonne sonore e la televisione. Del resto il ‘Viaggio in Italia’ è sempre stato una tappa fondamentale del gran tour che gli intellettuali stranieri di ogni epoca hanno fatto in Europa. Così mi è sembrato bello citare Goethe, anche se l’oggetto di questa avventura nel nostro caso è la musica e non l’arte figurativa e i luoghi fisici. Ho arrangiato i pezzi andando poi in studio di volta in volta (è un lavoro che abbiamo fatto con molta calma, negli anni) con una intelaiatura su cui abbiamo suo-nato in diretta. Poi ho editato il materiale e l’ho mixato. L’etichetta ‘Parco della Musica’ ha ama-to il progetto e l’ha pubblicato. Il pacchetto dei musicisti lo ha proposto Vittorio, Marco lo cono-scevo già bene e avevamo suonato insieme in studio e live. Carlo lo conoscevo meno, è stata una bella scoperta, e da lì in poi abbiamo collaborato spesso, attualmente sto registrando dei bassi nel suo nuovo disco, un progetto con diversi ospiti internazionali eccezionali.» Per Gigi non può asso-lutamente essere trascurato l’ascolto. -taglio2- È un qualcosa - sostiene - che ti deve accompagnare tutta la vita. Per il napoletano è il corpo che suona e non si può dare per scontato di avere imparato tut-to, ecco perché l’ascolto è fondamentale nella formazione e c’è chi ha la fortuna di studiare con ottimi maestri … ma anche la sfortuna di fare ascolti sbagliati. Avevano dodici anni e con Enzo Avitabile cominciarono a suonare ai tempi della scuola. Fu allora che misero su il loro primo quar-tetto. La domenica pomeriggio la giovane band si proponeva nei locali suonando Otis Redding, Wilson Pickett, Steely Dan … «anche insieme a tanto rock.» Chi ti ha segnato nella vita? «Devo dire, in tutta onestà, che gli Showmen mi piacevano molto. Con loro iniziò, anche se in embrione, quel movimento napoletano che ha portato alla ‘neapolitan power’. Degli Showman ricordo un concerto alla Mostra d’Oltremare, avevo solo quattordici anni ed a mio figlio ho raccontato di quell’esperienza vissuta da solo. Grande emozione nel sentire Emerson, Lake & Palmer, i Wea-ther Report e tantissimi altri. La musica popolare, ed in particolare la Nuova Compagnia di Can-to Popolare, fu una forma di sballo che divenne subito una grande passione. Con Eugenio Benna-to e Carlo D’Angiò, poi, feci parte del progetto ‘Musicanova’. Eugenio è uno dei miei maestri. Nel tempo, poi, sono maturate le collaborazioni con suo fratello Edoardo ma lo abbandonai per stare con Pino Daniele. Era il '79 e registrammo insieme ‘Ue man!. Pino lo conoscevo dal debutto del 1977: provava in un deposito a via Martucci. Era uno spazio aperto in cui nascevano idee. Laggiù facemmo i provini per ‘Nero a metà. Rincontrai Pino nel 2008 in piazza Plebiscito per il concerto con le tre band, infine nei live natalizi al Palapartenope. Altra musicista che lasciai, sempre per stare accanto a Pino fu Teresa De Sio ... che più tardi ritrovai in ‘Voglia ‘e turnà.» Quale è stato il musicista a cui hai fatto riferimento quando ti sei innamorato del basso elettrico? «Devo dire che non è che sia partito seguendo tecniche di un particolare musicista … ho sempre pensato alla musica più nel suo complesso, non tanto da strumentista ed anche la mia formazione è frutto di stimoli e generi molto diversi fra loro. Poi … non so nemmeno se posso essere definito uno strumentista a tutti gli effetti, non ho studiato. Detto questo, comunque, quando ero ragazzino mi è stato da riferimento il mondo del soul, poi la passione per il rock, il jazz rock e il jazz, e soprattutto Weather Report e Miles Davis ed i bassisti coinvolti in questo mondo ... naturalmente era impossi-bile rimanere indifferente a Miroslav Vitous, Alphonso Johnson, Marcus Miller … Figurarsi poi il grande Pastorius! Personalmente continuo a essere curioso e, anche se credo che essere legato al passato sia un problema quasi insormontabile per gli esseri umani, man mano che invecchiano, cerco di ascoltare quello che succede. Lo faccio con la mente più aperta possibile. Il mondo va sempre avanti, anche se in un modo che spesso non comprendiamo.» Oggi molti bassisti usano strumenti fino a dieci e più corde … come ti poni dinanzi ai bassisti multicorde? «Non ho al-cuna preclusione… se qualche corda in più può aiutarli a esprimersi meglio, fare cose belle, supe-rare i limiti dello strumento ... perché no. A volte suono il cinque corde ed ho avuto un sei corde, ma forse mi sono avvicinato a questi strumenti quando ero già formato da un pezzo. Anche se mi piacciono, in definitiva, sono molto più a mio agio col mio quattro corde.»





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