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Mirko Ronzoni

In cucina con amore

di Claudia Minichino

Numero 208 - Marzo 2020

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Mirko Ronzoni ci racconta il suo mondo in cucina. Dalla vittoria di Hell’s Kitchen, alle collaborazioni con Carlo Cracco fino al mondo delle consulenze culinarie


Comunicativo, istrionico, socievole. Mirko Ronzoni è uno Chef che non si ferma mai. Con un curriculum lunghissimo; dalla vittoria ad Hell’s Kitchen, alle esperienze all’estero, la collaborazione con grandi brand, la sua attività social, l’apertura del suo catering gourmet e tanto altro. Ecco cosa ci ha raccontato…-taglio-

Ciao Mirco, nel 2015 hai vinto la seconda edizione di ‘Hell’s Kitchen’. Com’è stata quella esperienza?

“Sicuramente è stata una bella ripartenza, o meglio, una rottura con il passato. Io ho sempre fatto questo lavoro di professione. ‘Hell’s Kitchen’ ha questo di particolare rispetto agli altri talent culinari; partecipano tutti professionisti del mondo ‘food’. Naturalmente, però, grazie all’esposizione così nazionale che ha il programma, dopo sono nati tanti altri progetti soprattutto sul territorio italiano, con grandi brand, con aziende del food e con colleghi chef. Devo dire che i programmi tv ti cambiano davvero la vita. Anzi, più che il programma in sé per sé è tutto ciò che viene dopo che innesca il vero cambio di rotta.”

Hell’s Kitchen è condotto da Carlo Cracco, ed ora sei anche “Sous Chef” sempre in Hell’s Kitchen. Com’è lavorare con Cracco?

“Dopo la vittoria ho gestito il ristorante di ‘Hell’s Kitchen’ in Sardegna e siamo rimasti in contatto perché Carlo sta tutto l’agosto in quella realtà. Da lì è saltata fuori l’occasione di propormi la posizione di Sous Chef. In questi ambienti lo chef è molto formale, severo, perché nella ristorazione di livello il margine di errore è minimo. Io ero già abituato a quel tipo di formazione. Ovviamente Carlo ha un’esperienza ad altissimi livelli e lui è molto ligio alle regole. Non ti nego che si impara anche solo a stare a contatto con chef di quel livello.”

So che viaggi molto e ti piace sperimentare. Secondo te, è importante per un cuoco sradicarsi dalla tradizione culinaria d’origine e saper prendere qualcosa anche dalle tradizioni culinarie straniere?

“Questo è proprio il mio pane quotidiano ed un po' anche la mia filosofia di vita. Ci sono ancora tanti chef che - aggiungo grazie a dio - continuano a rimanere legati alla propria terra e ai propri piatti. Però penso che uno debba scegliere che tipo di chef essere; a me è sempre piaciuto giocare di libertà. Percepisco la cucina come una tavolozza e lo chef come un’artista che con i vari ingredienti porta sul tavolo delle emozioni al cliente, come lo stupore o sensazioni positive. E a me piace attingere dal mondo la qualsiasi per portare sempre nuove emozioni. È una scelta, non dico che sia giusto così. Penso però che sia un valore aggiunto essere molto aperti. Ed è per questo che io stesso mi innervosisco verso coloro che sono integralisti a tutto tondo. Un esempio lampante lo troviamo sui social, dove ci sono persone che arrivano a minacce di morte quando tocchi uno dei capisaldi della tradizione. Io lo trovo assurdo. Si tratta semplicemente di curiosità. Credo sia bello sperimentare ed essere curiosi di provare qualcosa di nuovo. Questo non vuol dire offendere o dimenticare la tradizione.”

Collabori con molte accademie e scuole di cucina. Più del modo in cui si può cucinare un piatto, cosa è importante trasmettere ai giovani aspiranti cuochi?

“Si a me piace molto l’ambito accademico. Penso che sia un attimo modo per far entrare una persona nel nostro mondo che è tanto bello quanto però anche spietato. Le scuole pubbliche non sempre sono all’altezza perché cercano di fare il loro meglio con il budget che hanno. Grazie al cielo esistono queste scuole private e corsi di formazione che arricchiscono con seminari, serate a tema e via dicendo. È importante, secondo me, fare arrivare al corsista buone vibrazioni; curiosità, positività, voglia di sperimentare e soprattutto voglia di formarsi. Anche nel mondo della cucina non puoi pensare che dall’oggi al domani arrivi all’obiettivo. È un continuo documentarsi, evolvere, studiare il mercato, i clienti. È tutto in divenire e non ci si può fermare.”

Sei una persona molto attiva, il tuo curriculum è davvero lungo. Hai nuove idee nel cassetto?

“Io sono sempre stato molto attivo perché è un po’ il mio carattere. Mi nutro e mi gaso di nuovi progetti e di nuove collaborazioni. In questo ultimo anno mi sono un po' staccato dall’idea di avere un mio ristorante di proprietà ma più che altro perché si devono creare le condizioni di poterlo fare. Qui c’è ancora molto il concetto di ristorante come azienda casalinga, di famiglia, dove lo chef fa la maggior parte del lavoro ed è chiuso tra le mura della cucina. Cosa diversa invece è all’estero: dove spesso lo chef è un frontman che ha alle spalle un gruppo e dove l’azienda di ristorazione è un vero business. Quindi mi sono dedicato, per ricreare il mio profilo lavorativo tipo, alle consulenze. Siamo ancora un attimo indietro ma molte aziende stanno capendo l’importanza della consulenza culinaria. Mi occupo a tutto tondo di seguire ristoranti, o in itinere o per nuove aperture. Ed è una cosa che mi affascina sempre di più, oltre alle collaborazioni che ho già avviato dal punto di vista social, marketing, con corsi di cucina e con il mio catering gourmet ‘Aesthetic Kitchen’.”

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“Percepisco la cucina come una tavolozza e lo chef come un’artista che con i vari ingredienti porta sul tavolo delle emozioni al cliente”

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