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Mayumi Suzuki

di Maresa Galli

Numero 193 - Novembre 2018

Mayumi Suzuki, classe ’77, è una fotografa nata a Onagawa, nella prefettura di Miyagi, sulla costa nordorientale del Giappone, la città che nel 2011 fu spazzata via dallo tsunami seguito al terremoto...


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Mayumi Suzuki, classe ’77, è una fotografa nata a Onagawa, nella prefettura di Miyagi, sulla costa nordorientale del Giappone, la città che nel 2011 fu spazzata via dallo tsunami seguito al terremoto. Il cuore della casa di famiglia era lo studio fotografico fondato dal nonno nel 1930 e diretto dal padre, anche lui fotografo. Attiva a Tokio, studia presso il dipartimento di fotografia del College of Art della Nihon University di Tokyo. Lo scorso anno pubblica il suo primo libro, “The Restoration Will” (Ceiba Editions) che le ha guadagnato il “Photoboox Award” al Lucca Photolux Festival 2017 e la ha collocata nella rosa dei finalisti di Aperture Paris Photo First Photobook Award. -taglio- Ciò che la rende speciale, oltre all’innegabile bravura, è aver trasformato la memoria dolorosa in arte. Onagawa è stata rasa al suolo dallo tsunami e così la casa dei suoi genitori, il luogo che l’ha spinta a diventare fotografa. Nel disastro della piccola città di pescatori sono morti il padre, la madre e la sorella maggiore Hirono. Due settimane dopo Mayumi torna a casa, trovando alcune macchine fotografiche dello studio paterno, un album di foto, un treppiedi. Come un segno, intuisce che c’è un nuovo modo per raccontare la perdita, individuale e collettiva. I suoi scatti in bianco e nero, uniti alle vecchie istantanee a colori scattate dal padre, sono il tributo artistico alla perdita di tutti gli abitanti di Onagawa. E se un giorno tutto quello che nella nostra vita abbiamo sempre dato per scontato, e garantito, non ci fosse più? - si interroga l’artista. “Tutti gli abitanti hanno perso familiari e amici. Insieme, parliamo solo del futuro; invece è importante -taglio2- ricordare perché è la nostra identità”, afferma. I suoi scatti ritraggono momenti di vita familiare: persone sedute a tavola, gente per strada, diverse generazioni a confronto. Per creare il reportage Mayumi adopera la macchina fotografica del padre, ancora funzionante. La lente dell’obiettivo diventa il legame con le persone scomparse, e questo è anche il motivo delle foto scattate nel buio della notte, sulla spiaggia dove il mare le ha portate via. “Il nero delle immagini – spiega – è il mio collegamento con loro”. Nello stesso tempo gli scatti raccontano la vita, gli affetti che curano le ferite, e la vista del mare diviene paesaggio rasserenante. Le sue fotografie sbiadite, sfocate, in parte rovinate dall’acqua, sono una grande metafora delle macerie del passato, una narrazione potente di rielaborazione del lutto e insieme un rituale e un canto delicato per ridare voce a chi l’ha persa anzitempo.





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