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MARCO BELINELLI

A volte ritornano

di Angelo Luongo

Numero 204 - Novembre 2019

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Una delle bandiere italiane in America, ci racconta la sua dodicesima stagione NBA tra allenamenti, partite e nostalgia di casa


Marco Belinelli è certamente uno dei giocatori di basket italiani più famosi nel mondo, è inoltre l’unico ad aver vinto nella sua carriera un titolo NBA e una gara del tiro da tre durante l’All Star Game week. È questa la sua dodicesima stagione nel campionato più importante del mondo, ma il Beli ha sempre lo stesso entusiasmo di quando ha iniziato, proprio come ci racconta in questa intervista. Questo tempo negli Stati Uniti, ha dato a Marco la possibilità di far capire, anche ai critici più scettici, quanto lui possa essere un top player, e l’ha dimostrato più volte e soprattutto in ogni franchigia che l’ha visto sul campo. L’unico rammarico è la Nazionale, infatti, Belinelli nonostante sia il quarto realizzatore della storia della pallacanestro italiana, quest’estate nulla ha potuto durante il Mondiale quando il quintetto azzurro non è riuscito ad ottenere una posizione di rilievo tra le big. Noi di Albatros abbiamo scambiato quattro chiacchiere tra una partita e l’altra.

Partiamo subito dalla nuova stagione, la dodicesima in NBA, con la maglia Spurs, che obiettivi hai quest’anno?

“Quest’anno parlando della mia squadra, è un anno molto diverso rispetto ai precedenti vissutti con la maglia dei San Antonio Spurs. Questo perché, messi da parte alcuni casi come Lebron, Harden, etc, si sta verificando un massiccio cambio generazionale. -taglio-Intendo dire che, già a differenza di quando ho iniziato io nella Lega americana, oggi sono tanti i giovanissimi che sono titolari nelle proprie squadre e vengono considerati già dei top players. Anche per la mia franchigia è la stessa cosa, diciamo che c’è un bel mix tra old e new school! Non so dire che obiettivi ho, la stagione è lunga quindi tutto può succedere, sicuramente lottiamo per i playoff.”

Dopo aver cambiato varie squadre, sei ritornato a San Antonio. Come mai questa scelta?

“Qui c’è un pezzo del mio cuore, devo tutto al Pop - Gregg Popovich ndr – ai tifosi e a tutta la società. Quando mi hanno chiamato per ritornare sono stato molto contento, perché è stato come tornare a casa e avevo voglia di tornare a far bene con questa maglia!”

Prima parlavi di atleti giovanissimi che vengono già considerati top players, chi è il tuo preferito?

“Ce ne sono un bel po’, se proprio dovessi fare un nome certamente Luka Dončić: un giocatore che a 20 anni è in grado di dominare anche i difensori più esperti, e poi tira da distanze incredibili!”

Ci sono differenze rispetto a quando sei arrivato tu in NBA?

“Sì e no, nel senso che per chi viene da un altro continente già solo essere in NBA è qualcosa di incredibile. Il gioco è sempre stato molto fisico e allo stesso tempo spettacolare, proprio come oggi. Lo stesso vale per gli allenamenti. Forse, la differenza maggiore è per la sfera che riguarda il basket non giocato, ovvero quello che avviene fuori dal campo. Quando io sono arrivato in America, ancora non c’era tutta questa rivoluzione social, era agli albori, quindi noi giocatori riuscivamo a mantenere un giusto equilibrio tra vita pubblica e privata. È vero che anche ora è possibile, se solo lo si vuole, ma basta postare una cosa sbagliata o dire qualcosa di sbagliato, che nel giro di poche ore è diventato di portata internazionale e può influire anche sulla tua carriera.”

Vivi da tanti anni negli USA, qui gli sportivi vivono molto anche la vita politica e socio-culturale del Paese. Come mai in Italia questa cosa non avviene?

“Alla base penso ci sia la differenza socio-culturale che c’è tra noi e loro. In America non solo gli sportivi, ma tutti vivono attivamente la vita politica del Paese, per loro è normale e soprattutto è un dovere ed un diritto. Gli americani sono incredibili da questo punto di vista: se hanno qualcosa da dire, qualcosa per cui protestare o lottare, scendono per strada, fanno gruppo, e fanno sentire la loro voce sempre e comunque. Noi, invece, siamo ahimè una popolazione un po’ ‘comodosa’, nel senso che ci lamentiamo, ma poi non facciamo nulla di concreto. In particolare, per ritornare al discorso degli sportivi, in Italia veniamo considerati diversamente: io sono un giocatore di basket, stop.”

Cosa ti manca di più dell’Italia?

“Gli affetti. La mia famiglia, i miei amici. È vero che ormai sono anni che vivo fuori, però nonostante tutto è sempre difficile star lontani. Chi può viene a trovarmi, ma non sempre gli impegni sono compatibili.”

A proposito di Italia... tasto dolente: gli ultimi Mondiali. Cosa non è andato?

“Beh, a distanza di mesi ancora me lo chiedo! È stata una bella doccia fredda non riuscire ad arrivare nemmeno in semifinale, anche perché il gruppo di quest’anno è uno dei più completi di sempre. Io personalmente ci penso e ci ripenso e credo che avrei dovuto dare qualcosa in più alla squadra, cestisticamente parlando. Quindi resta l’amaro in bocca, ma voglio pensare già al futuro.”

Un ultima domanda: chi sarà L’MVP delle Finals di quest’anno?

“Lebron. Quest’anno è carico come non mai, deve riscattarsi dalla precedente stagione che l’ha visto fermo per parecchie partite e a capo di una squadra che forse non era adatta per lui. Ora con Davis accanto è tutta un’altra storia!”

Marco non ci resta che farti un grande in bocca al lupo!

“Viva il lupo!”

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“Qui c’è un pezzo del mio cuore, devo tutto al Pop, ai tifosi e a tutta la società”

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