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Machiavelli

di Yvonne Carbonaro

Numero 192 - Ottobre 2018

Un testo teatrale colto e raffinato, piacevolissimo da leggere per il tono irridente e sornione che merita di essere visto presto sulle scene; un testo che parla di storia e di politica, argomenti sempre attuali


albatros-machiavelli

Manlio Santanelli è il nostro drammaturgo vivente di maggior rilievo. I suoi testi teatrali sono già diventati dei classici, tradotti e rappresentati in tanti paesi. La sua scrittura, sia narrativa che drammaturgica, si basa sull’humor, affronta spesso tematiche esistenziali in un tempo sospeso e in un contesto surreale, talvolta fino al paradosso, avvalendosi di un linguaggio con contaminazioni complesse. Solitamente l’ambientazione è contemporanea, ma talvolta gli piace ambientare una sua pièce in un periodo storico. Qui, facendo un balzo all’indietro di cinque secoli, affronta di petto Machiavelli. È impresa da far tremar le vene e i polsi, dato che il segretario fiorentino è stato uno dei personaggi storico-letterari più discussi nei secoli in quanto autore di un testo politico come “Il Principe” che si chiude con l’esortazione a Lorenzo De Medici, figlio di Piero, di mettersi a capo degli Stati italiani scacciando gli invasori stranieri. I critici di matrice sia protestante che cattolica hanno subito dato al termine “machiavellico” la significazione di cinico, spregiudicato, e letto il testo come un elogio della tirannide, tanto che nel 1559 papa Paolo IV include le opere del Machiavelli nel terzo Indice dei libri proibiti. -taglio- Tale interpretazione è continuata fino al 700 quando gli illuministi ne capovolgono la lettura in chiave repubblicana così come lo stesso Foscolo, ed è a questa che Santanelli si avvicina nello svolgimento del testo teatrale. Siamo nella casa all’Albergaccio di Sant'Andrea in Percussina nel 1513 durante il suo esilio dalla politica, quando, dopo essere stato Segretario della Repubblica di Firenze, con il ritorno dei Medici fu estromesso. Di giorno giocava a carte nell’osteria ma di sera, egli racconta: “rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui uomini”. È qui che la scena teatrale si apre, mentre sta leggendo Seneca, ed è qui che conosciamo l’altra protagonista: la serva Berta, una popolana che non conosce il latino ma chiede lumi e sfrontatamente fa commenti. Lo spettacolo è sviluppato in forma di dialogo tra i due. Si delineano così i caratteri opposti e le caratteristiche dei due personaggi. Machiavelli solitario, pensoso, assorto nelle sue meditazioni, colto e ironico (che è poi l’ironia di Santanelli). Nel disegnare il personaggio l’autore si rifà dalle biografie ufficiali, ma vi aggiunge il tormento di sentirsi colpevole, nello scrivere il Principe, di tradire le proprie idee e i grandi del passato. Viene così sintetizzata tutta la vexata quaextio delle interpretazioni a cui si è fatto cenno. Il personaggio di Berta nasce totalmente dalla penna e dalla fantasia dell’autore ed è particolarmente interessante questa figura femminile protagonista per intelligenza, non per bellezza fisica, toscana del contado, di saggezza contadina, chiacchierona, religiosa ma non bigotta, anzi dotata di notevole senso critico, linguacciuta anche e piuttosto intrigante. Si è innamorata di un amore senza speranza di quell’uomo vicino al quale ha visto aprirsi un mondo di conoscenza prima ignoto. Ha la risposta pronta ma è protettiva e intelligente al -taglio2- punto che Machiavelli in tanta solitudine in cui parla solo con lei, finisce per ascoltarne i consigli e ad apprezzarli. È la politica compresa da una popolana! Addirittura Santanelli attribuisce ad un suo racconto l’ispirazione di Machiavelli a scrivere “La Mandragora”: licenza poetica, da scena, ma plausibile perché una commedia così boccaccesca rientra certamente in quello spiritaccio toscano, trasgressivo e sempre pronto a prendersi gioco di qualche marito gabbato, proprio delle novelle che era d’uso raccontarsi tra il popolo. Ed è sempre Berta che mette in guardia il suo padrone circa ciò che Guicciardini, e il mondo tutto, dirà di lui: che ha “mutato pelle” o che “mangia a due mense”. Per Machiavelli è il tormento che ritorna, circa il dualismo tra repubblica e governo di uno, anche nell’ipotetico confronto con Guicciardini, amico e oppositore politico. Un personaggio misterioso ma importante è l’uomo nero, uno strano figuro, che offrendogli una borsa d’oro, commissiona, a lui repubblicano che ha avuto nella repubblica un incarico di rilievo, un trattato sul “Principe”: cioè su un uomo d’ordine che a suo avviso funziona meglio che non la repubblica. (Si ipotizza che sia stato in segreto mandato dalla famiglia Medici). Ci si allontana qui naturalmente dal rigore filologico con libero sfogo della fantasia perché in nome dello spettacolo tutto è concesso e l’uomo nero è parte della finzione teatrale. Anche il parlato si adegua a questo salto nel Rinascimento con un’operazione sul linguaggio che di cui è maestro. Certamente ha assorbito la lingua del tempo dalla Mandragora, dallo stesso Principe, dai Discorsi e dagli scritti del tempo, ma quella che Santanelli adopera è una lingua tutta sua, una lingua toscana che orecchia quella del 500 ma che si è divertito a coniare con espressioni popolane sulla bocca di Berta e colte su quella dello scrittore.





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