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L’immortale nome della Libertà

di Franco Salerno

Numero 192 - Ottobre 2018

Libertà o illusione della Libertà? Così posero il problema Lucrezio e Virgilio


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La Libertà è il valore supremo per una società che voglia dirsi civile. Uomini e nazioni, scrittori e popoli sono scesi in campo con tutte le loro forze per scrivere sulle loro bandiere il nome “Libertà”. Il regista russo Ilya Khrzhanovsky ha recentemente mobilitato un gruppo di artisti di fama mondiale (da Marina Abramovic a Brian Eno ai Massive Attack) per realizzare un’installazione artistica che intende ricostruire a grandezza naturale il celebre muro eretto a Berlino. Che fu abbattuto alla fine del “secolo breve” nel 1989, data prima della quale, oltre la “Cortina di ferro”, vigeva un cupo clima privo di libertà. Ma oggi ci chiediamo: quanto riusciamo ad apprezzare davvero il nostro essere persone libere? E quanto, in effetti, lo siamo davvero? L’universalità di questo tema ci spinge a dare uno sguardo al passato, alla civiltà romana per vedere come esso si è evoluto. E forse scopriremo che ancora una volta i nostri antenati qualche soluzione l’avevano inventata.-taglio- Il nostro viaggio a ritroso nel tempo prevede l’incontro con due poeti. Il primo è Tito Lucrezio Caro, autore del più rivoluzionario Poema filosofico dell’antichità: “Sulla natura”. Con i suoi aurei versi questo poeta esaltò la libertà dell’intelletto, la creatività dei sapienti, l’audacia dei pensatori che fiondano i loro occhi per l’immenso infinito e affermano idee che possono servire al miglioramento dell’umana condizione. Egli osò tuonare contro la superstizione religiosa che ingenerava la paura degli dèi. Come anche osò esortare gli uomini a non avere più timore della Morte. Perché, quando ci siamo noi sulla Terra, Lei non c’è; e, invece, quando c’è Lei, noi non ci siamo più. Una profonda riflessione esistenziale, insomma, che invitava a trovare dentro la propria coscienza il vero senso del Sé. E questo in una società, quale quella cesariana, fondata sulla guerra, sull’obbedienza allo Stato e sul rispetto della tradizione religiosa. Ci provarono, in molti, forse anche il grande Cicerone, a seppellire Lucrezio con una “condanna della memoria”; ma non ci riuscirono. Perché, viceversa, i posteri a questo intellettuale ipercritico e ribelle hanno eretto un mausoleo più -taglio2- perenne del bronzo. Diverso, ma complementare, il caso di Virgilio, autore del più grande Poema epico della letteratura latina: l’“Eneide”. Virgilio, a differenza di Lucrezio, era molto legato all’establishment della sua epoca, quella augustea. E “Augusteis” avrebbe dovuto chiamarsi l’“Eneide”. Questo avrebbe limitato di molto la libertà del poeta e lo avrebbe appiattito su un’ipocrita lode al primo Imperatore. Invece, Virgilio preferisce alla storia il mito e fa scendere Enea negli Inferi affinché riceva la profezia sulla grandezza della Roma futura. Profezia: parola sacra per un poeta. Perché ”profeta” è “colui che parla prima degli altri”, “colui che parla davanti agli altri”, “colui che parla a nome di un Altro”, cioè di un’entità superiore. Il profeta, naturalmente, è libero e le sue parole vanno al di là della banale realtà. Proprio come succede a Virgilio, quando profetizza nelle sue “Bucoliche” una nuova età dell’oro, fondata sulla pace e sulla prosperità. Forse Virgilio non ha creato un mondo nuovo, ma sicuramente ci ha donato nuovi occhi per guardare il mondo.





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