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Libera

di Angelo Luongo

Numero 183 - Dicembre 2017

Altro progetto discografico per Floraleda Sacchi, artista che della musica classica ha fatto uno stile di vita, sempre con l’arpa a portata di mano…


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Arpista&artista di calibro internazionale, Floraleda Sacchi torna ad incidere un disco a due anni dall’ultimo. L’eclettismo è ciò che maggiormente caratterizza la nativa di Como, che da sempre ha puntato alla qualità dei suoi progetti, oltre al fatto di lavorare in totale autonomia. Come una parte del corpo, l’arpa, strumento insolito e versatile, l’ha accompagnata sin da bambina per tutta la carriera e ancor oggi rappresenta il suo punto di partenza e di riferimento.

“#Darklight” è il titolo del tuo ultimo album, entrato nella top 5 della classifica italiana degli album di musica classica. Com’è nato questo progetto?

“Il progetto è nato dalla mia voglia di sperimentare con l’elettronica e lavorare col suono. Quindi ho iniziato a creare un repertorio, a trascrivere, a provare a suonare delle cose, a rielaborarle in un certo modo e alla fine sono arrivata a questo progetto, che mi sta dando grosse soddisfazioni. Per il lavoro di produzione ho composto le basi, ho creato gli arrangiamenti e fatto tutto in totale autonomia. Amo l’indipendenza e il fatto di poter lavorare liberamente e senza alcun vincolo, e questo disco ne è la dimostrazione.” -taglio- Inoltre, il disco è affiancato da un libro: di cosa si tratta?

“Dunque, inizialmente ho iniziato semplicemente a spiegare il lavoro che avevo fatto sui singoli brani, in alcuni casi anche in maniera molto tecnica, perché comunque ci son tante cose sperimentali, e a proposito di questo noto che la gente è sempre curiosa di sapere cosa c’è dietro al tuo lavoro. Così facendo ne è venuto fuori un ‘libretto’ abbastanza corposo, ed a quel punto mi è venuta l’idea di aggiungere anche una sezione in cui esprimevo la mia concezione di musica perché mi piaceva l’idea di dire qual era la mia visione.”

È partito da pochissimo il tuo nuovo tour, durante il quale ti esibirai in Italia e all’estero. A proposito di questo, c’è differenza tra il pubblico italiano e quello straniero?

“Beh, più che altro ci sono delle differenze di cerimoniale e di sensibilità dei popoli, ad esempio in Svizzera l’applauso magari non parte subito come può accadere a Roma, in Giappone ti danno i fiori prima del concerto per buon augurio. Poi in generale se uno suona con passione e soprattutto del materiale in cui crede e cerca di farlo al meglio la gente risponde sempre bene e viene coinvolta. Non c’è differenza di luogo, la musica, soprattutto quella che faccio io che non è legata alle parole, può davvero essere ascoltata in qualunque parte del mondo.”

Una tua caratteristica è certamente quella di far convivere la musica classica e quella pop, dance, soul, come ci riesci?

“Mah... io in generale non faccio alcuna distinzione di genere nella musica, c’è musica che mi piace o che non mi piace e musica che reputo più valida o meno valida o -taglio2-superficiale, per cui io scelgo in base a questo non in base al genere che secondo me è molto riduttivo e a tratti pericoloso, perché credo che un musicista lavori sul suono e sulle vibrazioni e ciò accomuna qualsiasi genere. Sarebbe più giusto dividere la musica sacra, ad esempio, che ha una tonalità sempre uguale nel corso della storia, dalla musica di consumo, ma sono dettagli più di forma che di sostanza vera e propria.”

Quando hai capito che l’arpa potesse essere il “tuo” strumento e cosa ti ha spinto a sceglierlo?

“Beh, l’arpa per quanto mi riguarda è come se fosse una parte del mio corpo, c’è chi canta e utilizza la voce come strumento, parallelamente chi suona fa del proprio strumento una parte di sé, questo comporta che si debba amare incondizionatamente il proprio strumento, quindi c’è anche una forma di corrispondenza, proprio come la voce. Personalmente sin da bambina ho sentito l’esigenza di suonare l’arpa, nessuno me l’ha imposto, è stato un amore a prima vista e sono ancora convinta della scelta che ho fatto.”

Hai alle spalle una carriera ricca di soddisfazioni, che consiglio daresti ai giovani musicisti?

“Di trovare il loro stile e di cercare della musica che gli corrisponde, che a loro piace davvero e che quindi suonano in maniera personale, per far sì che siano il più originali e riconoscibili possibile perché poi se sei solo un esecutore del repertorio è controproducente e ne va della carriera di un artista.”





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