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L’estate per sempre

di Franco Salerno

Numero 223 - Settembre 2021

Oggi, sulla scia degli scrittori latini, dobbiamo auspicare che la libertà della bella stagione diventi una visione del mondo


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Se tutti useremo le precauzioni previste dalla lotta alla pandemia, la bella stagione di quest’anno potrà essere vissuta in una semi-normalità, di cui ci accontentiamo, perché questa condizione ci consente di superare l’incubo dei terribili mesi trascorsi. Ma date queste premesse, perché non collegarle all’intero anno?-taglio- E’ legittimo chiedersi allora: e se l’estate diventasse davvero uno stato d’animo o addirittura una visione del mondo? Se volgiamo lo sguardo al passato della cultura classica, forse possiamo trarre da essa su questa tema degli spunti interessanti per il presente e per il futuro. Iniziamo dal significato della parola “estate”: essa è diffusa in tutte le lingue antiche, dal sanscrito ("idh" che vuol dire "ardere") al latino ("aestus", cioè "calore"). Il trionfo, insomma, universale della fiamma e dell'ardore cosmico, simbolo di vita. E all'estate tutti colleghiamo la condizione, necessaria per la vita umana, del riposo, della distensione, in una parola, della vacanza. Altro concetto emblematico, perché indica la positività del “vacante”, che necessariamente deve farsi strada nel nostro corpo e nella nostra mente, per poterli poi "riempire" di nuove sensazioni, esperienze e conoscenze. Gli scrittori latini inventarono -attraverso lenti ripensamenti- una duplice visione dell'ozio-riposo. I pensatori più arcaici lo considerarono come profondamente negativo. Il famoso proverbio italiano "L'ozio è il padre dei vizi" altro non è che una variante della massima latina "Il lungo ozio fornisce gli alimenti ai vizi", riportata nei Distici di Catone (III-II sec. a. C.). -taglio2-Una positiva concezione dell'ozio fu, invece, proposta da Cicerone (I sec. a. C.), che, scoprì, quando fu costretto all'esclusione dalla vita politica, l'otium literarium (la possibilità per l'uomo libero di ritagliarsi un tempo tutto suo per dedicarsi alla meditazione su questioni filosofiche e morali). Risulta, a questo punto, molto interessante ricostruire brevemente per i nostri lettori la "storia delle vacanze". Che furono inventate, tanto per cambiare, nell'antica Roma. Tutto comincia negli ultimi secoli dell’età repubblicana (II-I secc. a.C.), allorquando si diffuse tra gli aristocratici romani l’abitudine di farsi costruire abitazioni per la villeggiatura in prossimità del mare, in modo tale da avere un luogo appartato e più vicino alla natura, in cui ritemprarsi lo spirito. Ma fu molto tempo dopo, nel I° secolo dopo Cristo (quando la popolazione di Roma superò il milione di abitanti) che la vita nella "caput mundi" divenne intollerabile e logorante, come in una moderna metropoli, a causa del traffico, del caos, dei rumori ad ogni ora della notte, per cui si impose per le classi più agiate la necessità di spostarsi, almeno d'estate, in località più tranquille e riposanti.
Seneca, filosofo stoico del periodo neroniano, il quale condannava l’inquinamento urbano, esaltò il riposo, l’ozio, la vacanza come momenti di ritorno alla natura che ha una sua bellezza intrinseca, rafforzando così i dettami ideologici già affermatisi nell'età augustea. Insomma, una sintonia con l’intero caleidoscopio degli esseri viventi, che deve ispirare un cambiamento di mentalità del moderno predatore “Homo sapiens”.





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