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Le scuole socratiche

di Alfredo Salucci

Numero 218 - Marzo 2021

Dall’insegnamento di Socrate oltre alla scuola di Platone, "l’Accademia", la scuola cinica, la scuola cirenaica e la scuola megarica


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Dall’insegnamento di Socrate oltre alla scuola di Platone, l’Accademia, certamente la più importante, sono discese altre scuole cosiddette minori, ossia la scuola cinica, la scuola cirenaica e la scuola megarica. Le tre scuole sono tutte entrate in polemica prima con la scuola di Platone, poi con la scuola di Aristotele. -taglio- La scuola cinica ebbe in Antistene (Atene 444 – 365 a.C.) il suo maggiore rappresentante. Antistene fu prima allievo del sofista Gorgia, poi frequentò Socrate. La filosofia di Antistene porta alle estreme conseguenze i temi socratici come la conoscenza delle cose, in pratica il che cos’è, la famosa domanda che Socrate rivolgeva ai suoi interlocutori quando chiedeva di dare una definizione della cosa di cui si stava parlando. Antistene e i suoi discepoli erano convinti della impossibilità di giungere a una definizione. Antistene criticava anche le idee di Platone, in pratica negava l’esistenza degli universali. Famosa è la sua frase: «O Platone io vedo il cavallo, ma non vedo la cavallinità». Questo a significare che possiamo vedere un cavallo e magari comunicare le sue sembianze, ma non posiamo certo comunicare l’idea della cavallinità, idea platonica universale e astratta. Per Antistene il saggio non dovrebbe vivere secondo le leggi della città bensì secondo virtù. E la strada che porta alla virtù passa attraverso l’esercizio della ragione e soprattutto attraverso la fatica, tanto che Ercole rappresentava per i cinici il vero saggio. Questa cosa li portava a infrangere spesso le leggi della polis. Così i cinici vivevano la loro vita nel disprezzo delle tradizioni e delle leggi, inoltre riducevano al minimo i bisogni, rifiutando le agiatezze della vita, anche alimentari, e conducendo un’esistenza libera da ogni necessità, molto simile a quella di un cane randagio, da cui deriva il loro nome. La seconda scuola è quella cirenaica fondata da Aristippo. Questa scuola è su posizioni diametralmente opposte a quelle della scuola cinica. Infatti, non accettavano per niente di vivere una vita fatta di rigori e fatica. Il nome di questa scuola deriva dalla città in cui era nato il suo fondatore, Aristippo, nel 435 a.C.: Cirene, una colonia greca della regione orientale della Libia. -taglio2-Pare che Aristippo all’età di circa diciannove anni si sia recato ad Atene per le Olimpiadi, e qui abbia avuto modo di conoscere Socrate e le sue idee, ma senza diventarne discepolo, nel senso stretto della parola. Infatti, tra quelli che seguivano Socrate è certamente il più lontano dal suo modo di pensare, ossia dalla filosofia di Socrate. Tanto che, stando a quanto riportato da Senofonte nei Memorabili, Aristippo sarebbe stato criticato anche da Socrate, per il suo modo di vivere. E qual era la filosofia di Aristippo disapprovata da Socrate? Per la scuola cirenaica, quindi per il suo fondatore, il fine della vita è il piacere. Per i cirenaici bisogna fare il possibile per avere un’esistenza gradevole, cogliendo al meglio tutte le opportunità di godimento che ci sono offerte e rinunziando a perseguire traguardi impossibili che possono essere fonte non solo di mancato piacere ma addirittura di dispiacere. Il piacere, elemento fondamentale della filosofia dei cirenaici, non va confuso con il piacere degli epicurei che era inteso soprattutto come piacere dell’anima e non come piacere fisico. L’ultima delle scuole minori socratiche è la scuola megarica fondata da Euclide nato a Megara nel 435 circa a.C. e morto nel 365 a.C. Euclide di Megara, una città della Grecia, fu prima allievo di Zenone, poi di Socrate, quindi la filosofia di questa scuola si rifaceva sia alla scuola eleatica sia agli insegnamenti socratici. Di questa scuola si conosce molto poco, nonostante la notevole fama raggiunta in quegli anni. Della scuola megarica sono ricordati in particolare i paradossi relativi al linguaggio e alla comunicazione come quello del “mentitore” e del “sorite”. Attraverso questi paradossi i filosofi megarici volevano dimostrare l’equivocità del linguaggio.





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