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Laura Cusano

di Silvia Giordanino

Numero 232 - Luglio-Agosto 2022

Siamo passati da anni turbolenti: la pandemia del Covid, il conseguente lock-down e poi la guerra di cui tutti siamo a conoscenza. La pressione è tanta, ma, per fortuna, ci sono figure professionali che ci aiutano nella sopravvivenza quotidiana.


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Laura Cusano, psicologa abilitata, è cresciuta a Foggia e si è laureata presso l'Università "La Sapienza" di Roma, con una tesi incentrata su di un programma di promozione del benessere psicologico dedicato agli studenti universitari e sviluppato per mezzo della piattaforma elearning Moodle. In passato, ha studiato Fumetto presso la Scuola Internazionale di Comics di Roma.-taglio- Attualmente si sta specializzando in Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale presso l’Istituto Watson di Torino. Nel 2021 ha partecipato alla realizzazione della raccolta di racconti "S-tralci di vite" a cura di Omar Fassio e Massimo Tallone, nell'ambito del progetto "Psicologia e Scrittura", promosso dall'Ordine degli Psicologi del Piemone. In questi ultimi anni così difficili e incerti il sostegno psicologico è divenuto elemento sempre più importante ed all’attenzione dei media e delle istituzioni. Ne parliamo con la dottoressa della situazione attuale e del tanto che, purtroppo, ancora c’è da fare. Dottoressa, che cosa fa esattamente uno psicologo? “Il compito principale dello psicologo è quello di promuovere il benessere delle persone, aiutandole a conoscersi meglio, a costruire un buon equilibrio psicofisico e a rendere la propria vita più coerente con ciò che per loro conta davvero.” Cosa bisogna avere per essere dei buoni psicologi? “Credo che non esista una ricetta assoluta, ma direi che un buon mix di empatia, creatività e curiosità possa essere molto utile.” Qual è il rapporto che occorre stabilire tra psicologo e paziente? “Anche qui i singoli ingredienti possono cambiare a seconda delle persone coinvolte, ma credo che la gentilezza, il rispetto reciproco e la disponibilità all'ascolto siano fondamentali per costruire una relazione terapeutica efficace.” Durante il tempo della pandemia è noto che le persone siano ricorse sia a psichiatri che a psicologi. Come ha affrontato la situazione? “Aspetti fondamentali del mio intervento sono stati sia quello di “accogliere”, comprendere e gestire l'ansia e la paura attraverso tecniche di rilassamento (anche a distanza, tramite videochiamata o telefono) e quello di aiutare le persone a regolare il loro rapporto con il flusso continuo e incessante di informazioni, spesso allarmanti, relative all'andamento della pandemia. Soprattutto in una prima fase, infatti, c'era la tendenza a controllare le news continuamente sul cellulare o in tv. Anche questo è un impulso più che comprensibile, perché nasce dal bisogno di inquadrare una situazione nuova in modo da adattarvisi nel modo migliore possibile. Informarsi è un comportamento sano, ma controllare continuamente le notizie non è utile e provoca sicuramente un aumento dei livelli di ansia e di stress. Ho aiutato quindi le persone a stabilire due, massimo tre momenti in cui raccogliere informazioni da fonti attendibili, compatibilmente con le loro preferenze e possibilmente lontano dall'orario di addormentamento.” Le persone stanno riscontrando la stessa difficoltà con le notizie relative alla guerra? “Decisamente sì. Anche in questo caso, le nostre preoccupazioni costituiscono una reazione normale ad un evento straordinario e, anche in questo caso, è importante dosare bene le operazioni di raccolta delle informazioni, collocare questi momenti lontano dall'orario di addormentamento e scegliere accuratamente le fonti.” I vecchi pacifici e “radiosi” tempi non sono mai sembrati così lontano, ma torneranno? “Il punto è che non esiste una realtà senza problemi. Non è mai esistita e mai esisterà. Indubbiamente abbiamo attraversato e stiamo ancora attraversando momenti molto difficili, che per alcuni di noi sono stati addirittura terribili. Prima della pandemia, però, la nostra vita era comunque piena di problemi, anche se di diverso tipo. È proprio la tendenza a pensare alla felicità come ad uno stato di benessere completamente privo di dolore e di problemi che ci condanna paradossalmente all'infelicità, perché ci porta inconsapevolmente a porre dei limiti alla possibilità stessa di essere felici. Ora ci diciamo "quando finalmente finirà la pandemia, allora sì che potrò essere davvero felice", ma non dovremmo affatto fidarci di queste parole, perché, quando poi la pandemia finirà, quasi sicuramente subentreranno altre cose e quindi penseremo "quando finalmente riuscirò a perdere dieci chili, allora sì che potrò essere davvero felice", oppure "quando finalmente mi sarò laureata, allora sì che potrò essere davvero felice", "quando finalmente avrò trovato il lavoro dei miei sogni, allora sì che potrò essere davvero felice" e così via... In questo modo però non facciamo altro che rimandare la nostra felicità all'infinito e impedire a noi stessi di valorizzare il presente e di coglierne le reali opportunità oltre che le difficoltà.” -taglio2- Quindi cosa ci consiglia di fare? “Nel libro "Uno psicologo nei lager", l'autore, Viktor Emil Frankl, uno psicologo sopravvissuto alla deportazione nazista, racconta la sua terribile esperienza nei campi di concentramento e mette in luce un aspetto di fondamentale importanza: i prigionieri che avevano maggiori possibilità di sopravvivere non erano quelli fisicamente più forti, ma quelli capaci di scorgere ancora uno scopo nella loro esistenza. Io credo che dovremmo concentrarci su questo. Cosa dà senso alla nostra vita? Quali sono i nostri valori? Quali sono le cose davvero importanti per noi e che spazio occupano attualmente nella nostra vita? Quanto tempo e quante energie vi dedichiamo? Praticamente, durante i momenti difficili che abbiamo e stiamo tuttora vivendo, abbiamo disattivato la modalità "pilota automatico" e ci siamo sentiti completamente persi. Vivere questa angoscia è stato indubbiamente difficile, ma ha permesso a tante persone di ridisegnare la propria vita, di darle una direzione più significativa e quindi di diventare più resilienti. Dovremmo ripartire proprio da qui: da noi. Dovremmo chiederci cosa dà valore alle nostre vite e fare in modo che le nostre azioni e i nostri obiettivi siano il più possibile coerenti con questi aspetti, perché quando sentiamo che la nostra vita ha un senso e perseguiamo quotidianamente i nostri valori, incarniamo la versione migliore di noi stessi, riuscendo ad affrontare meglio le difficoltà e ad essere felici nonostante il dolore.”





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