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La Vita è tutta un film

di Franco Salerno

Numero 196 - Febbraio 2019

L’amore e l’angoscia nei versi dei poeti latini riletti secondo il linguaggio cinematografico


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Ormai la fantasia e l’immaginazione riescono a condizionare la realtà. Molto spesso il cinema, con la sua capacità affabulatoria e immaginifica, spinge gli spettatori a mimare e imitare le azioni a cui assistono. È successo qualcosa del genere, in maniera molto marcata e pericolosa, con il film "Bird Box", il più visto su Netflix nell’ultima settimana dell’anno 2018. La pellicola, diretta dal premio Oscar Susanne Bier, ha fatto scattare l'allarme negli Stati Uniti, dove si è verificata la “Bird Box Challange”: migliaia di spettatori hanno imitato l’attrice Sandra Bullock, per cui sono andati in giro per le strade con gli occhi bendati, cercando di compiere diverse azioni non proprio “sicure”. Molti di loro sono finiti in ospedale, finché la piattaforma non è stata costretta a diramare un comunicato, in cui si invitavano le persone ad abbandonare tale atteggiamento pericoloso. Noi pensiamo che questa condizione psicologica sia anomala e rara, frutto della crisi di identità, tipica del nostro tempo. Invece noi la vediamo esser presente anche nella cultura dell’antica Roma. Per dimostrare questa nostra idea, proveremo a rileggere le biografie di due grandi scrittori latini e le storie da loro narrate come le trame di un film. -taglio- Cominciamo da Catullo, sommo poeta d’amore, disperatamente innamorato di Lesbia, che però lo tradisce con moltissimi amanti. Dalle sue poesie è possibile estrarre alcune inquadrature “cinematografiche”, che potrebbero ben figurare oggi in un film ispirato al filone di “Dramma della gelosia” di Lina Wertmuller. Basta ricordare la scena in cui Catullo vede la sua donna accanto ad uno dei suoi amanti e ne è fortemente geloso. I suoi sentimenti sono descritti attraverso una serie di disturbi fisici, che la telecamera potrebbe rendere magnificamente: il suo volto diventa di vari colori, la vista gli si annebbia, le orecchie gli ronzano e la voce diventa fioca. Il poeta diventa folle d’amore e si dibatte in un’angoscia senza fine. Follia e angoscia sono due ingredienti “cinematografici” della poesia di un altro grande scrittore latino: Lucrezio, morto folle per aver bevuto un filtro d’amore. Il suo poema, “La natura delle cose”, intende liberare l’uomo dalla paura degli dèi e della -taglio2- morte; eppure, è pieno di scene ispirate all’assurdo e alla pazzia. Il momento apicale di questa tecnica narrativa, che potrebbe avere un suo riscontro cinematografico in “Beautiful mind” con Russell Crowe, è rappresentato dalla descrizione di dodici illusioni ottiche. Noi vorremmo ricordarne solo due. Ad esempio, quella secondo cui una persona, ponendo un dito sotto l’occhio, vede tutto doppio: tutta la realtà si raddoppia trasformandosi in incubo. Oppure l’altra scena, il cui protagonista è un bambino, che fa un veloce girotondo e, quando si ferma, avverte una terribile sensazione di capogiro. Gli sembra che tutto lentamente (come in un ralenti cinematografico) stia per cadere sul suo corpo come in una sorta di apocalisse cosmica. Naturalmente si tratta di due illusioni ottiche, eppure esse dischiudono, a Lucrezio e a noi lettori, scenari inquietanti, che spesso agitano la nostra vita.





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