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La pratica medica nell’Antica Roma

di Alfredo Salucci

Numero 265 - Novembre - 2025

Marco Porcio Catone si oppose in modo violento all’espandersi della cultura greca a Roma, in particolare della filosofia, convinto sostenitore dei principi e dei valori romani. La sua avversione si rivolse in modo spietato non solo contro i filosofi immigrati, ma anche contro i medici stranieri


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La medicina, come professione, nell’Antica Roma non esisteva, e non esistevano i medici. La pratica medica era un’arte popolare attuata empiricamente dal pater familias. -taglio- Il capo famiglia, oltre alle sue incombenze, doveva provvedere anche alla salute dei suoi familiari. Per fare ciò doveva necessariamente acquisire una certa dimestichezza con i rimedi farmaceutici del tempo, e anche una certa capacità di intervenire in situazioni delicate sia mediche che chirurgiche. Da dove derivavano queste competenze, considerato che a Roma non esistevano scuole di medicina? Dall’esperienza! Successivamente, la pratica medica fu affidata agli schiavi, in particolare a quelli che provenivano dalla Grecia e dall’Asia Minore. Molti di loro avevano acquisito nei loro paesi di origine una buona conoscenza dell’arte medica insieme a una discreta manualità nella cura di ferite e fratture. Dal III secolo a.C. cominciarono ad arrivare a Roma i primi medici esperti provenienti dalla Grecia e della Ionia. All’inizio i romani non riposero grande fiducia in questi sanitari, tanto che non mancarono illustri esponenti della cultura romana, come Catone, che invitarono familiari e amici a diffidare di loro. Secondo le sue idee, i medici provenienti dalla Grecia avevano come scopo quello di ammazzare tutti i romani, per annullare la loro supremazia. Anche Plauto, in una sua commedia, aveva sostenuto che i medici greci non erano che ciarlatani. Per i romani questi personaggi erano incompetenti, e desiderosi solo di arricchirsi. La stessa medicina ippocratica era ritenuta assurda, i cui rimedi non riuscivano per niente a curare le malattie. Per i romani era meglio continuare ad affidarsi alla medicina tradizionale, quella praticata dal pater familias. I romani, inoltre, diffidavano anche dei medici provenienti da altre terre, oltre la Grecia. Marco Porcio Catone si oppose in modo violento all’espandersi della cultura greca a Roma, in particolare della filosofia, convinto sostenitore dei principi e dei valori romani. La sua avversione si rivolse in modo spietato non solo contro i filosofi immigrati, -taglio2- ma anche contro i medici stranieri. Questa situazione di estrema sfiducia verso i medici poco alla volta fu superata, anche per le oggettive necessità di avere medici esperti capaci di curare malattie e trattare le ferite. Inoltre, per le continue guerre, si rese indispensabile un corpo sanitario che accompagnasse l’esercito durante le campagne militari. Cominciò così a essere praticata un’efficiente medicina militare con personale sanitario ben istruito che seguiva l’esercito, e con la costruzione di ospedali da campo, poco distanti dagli scenari di guerra, dove portare i soldati feriti per curarli.
Nel III secolo d.C. a Roma fu istituito anche un servizio sanitario pubblico. Un medico era disponibile per ogni quartiere della città. Curava a pagamento, mentre per assistere i poveri riceveva un compenso fisso dallo Stato. L’attività medica si svolgeva nella cosiddetta taberna medica, un ambulatorio dove il medico praticava anche piccoli interventi chirurgici con l’aiuto di allievi. In questi luoghi si vendevano anche colliri e medicamenti preparati a base di erbe. Attiguo all’ambulatorio c’era un herbarium dove si preparavano i medicinali. Sempre vicino a questi ambulatori, mancando gli ospedali, vi era un luogo di degenza in cui i pazienti potevano rimanere in osservazione. Certo, a Roma non tutti i medici erano preparati, molti erano veri ciarlatani, sanitari improvvisati, che si spacciavano per luminari solo per sete di guadagno. Comunque, la maggioranza dei medici operanti nella città eterna, anche in mancanza di una scuola medica, aveva raggiunto una buona capacità sia in campo medico che chirurgico, tanto che a Roma si praticavano interventi di cataratta, operazioni di calcoli alla vescica, interventi ortopedici, fino alla trapanazione del cranio. Era diffuso anche l’uso di protesi dentarie, realizzate non solo con ossa e denti di animali, ma anche con denti umani.





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