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La lingua storta

di Pasquale Matrone

Numero 212 - Luglio-agosto 2020

La lingua cambia, si evolve, per dare forma e rappresentazione al mutamento. Non sempre, però, riesce a difendersi da trappole, abusi e storture


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Certe parole, oggi, sono brutte, cacofoniche, sgraziate: figo, inciucio, noismo, sciabbarabba; whatsappare, instagrammare, twittare, skippare, bloggare, googlare; postare, taggare, linkare,-taglio- likare, bannare, crashare, hackerare, sharare; brandizzare, customizzare, attenzionare, mobbizzare stalkerizzare, killare; drinkare, flesciare, lovvare; colazionato, gasato, clannare, svaccare… Svaccare? Il vocabolario traduce: lasciarsi andare, non impegnarsi più, essere abulici, accidiosi, inerti, passivi, svogliati... Sbaglia! Chi lo ha detto che le vacche sono accidiose, inerti, passive, svogliate? La loro calma è saggezza filosofica: un inno alla lentezza viva, produttiva e generosa. Altrettanto sbagliato è il nuovo significato attribuito al verbo rottamare: ne svilisce la natura iniettandovi arsenico: genera, infatti, male nella società e ‘porta male’ a chi ne fa un uso. Le cose sì, quando sono obsolete e non più utilizzabili, possono essere rottamate, sia pure senza inutili sprechi e salvando il salvabile. Gli uomini, che non sono cose, meritano ben altro rispetto e destino. E poi ci i sono i non pochi inutili anglicismi: awareness, authority, backstage, brand, coach, choosy, community, competitor, corporate, crowd founding, default, election day, endorsement,-taglio2- feedback, freelance, follow-up, headline, hotspot, leadership, location, lockdown, jobs act, meeting, outfit, recovery fund, revenge porn, road map, self-employment, smart working, stepchild adoption, sold out, spending review, spoils system, startup, step, team, students satisfaction, market share, benchmark, vision, welfare, workshop… Vocaboli adottati solo per ostentare apertura al nuovo. Chi è senza peccato, comunque, scagli la prima pietra… Non potrebbe farlo il sottoscritto. E neppure “Albatros”, un magazine, con una bella cover story, una sua gallery, una publishing house, uno spazio dedicato alla world politics, e tanto altro…Vero è che si rischia, oggi, una deriva volgare della parola. Più che la chiarezza e l’armonia, infatti, ne vengono privilegiati la trivialità, la dissonanza, lo strepito, i colori forti, le ambiguità. E dal momento che la parola è pensiero, l’uso di un linguaggio basso, distorto, banale, rozzo, estraneo e mal compreso rende la gente sempre più ignorante, grigia, acritica, anaffettiva, influenzabile e servile.





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