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La libertà di ridere

di Pasquale Matrone

Numero 206 - Gennaio 2020

La risata è veleno e medicamento, amore e odio, ubbidienza e ribellione, solidarietà e avversione...


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La risata è veleno e medicamento, amore e odio, ubbidienza e ribellione, solidarietà e avversione… A seconda dell’utilizzo intenzionale che se ne fa, e in stretta relazione con il contesto antropologico in cui agisce, essa assume significato diverso. A sostegno di questa premessa, basta citare, ad esempio, l’attentato del 2015 contro la sede del giornale satirico Charlie Hebdo, in risposta alle vignette satiriche sull’Islam, pubblicate qualche giorno prima. Eppure la rivista usava e usa criticare anche il cristianesimo, l’ebraismo, nonché le ideologie e i regimi nemici della libertà...-taglio- Appartenenti a culture e a tradizioni diverse, non tutti i destinatari dei pungoli ironici dei vignettisti hanno reagito allo stesso modo, proprio in virtù della valenza da ciascuno di loro attribuita alla satira e ai confini entro i quali essa può essere ritenuta accettabile. Al contrario di ciò che comunemente si crede, va sottolineato altresì che la risata non è una risposta dettata dall’istinto, bensì è il risultato di una scelta nata da riflessione consapevole. Essa, infatti è in grado di esprimere: allegria, scherno, aggressività, vergogna, timidezza, sfida, crudeltà... Si può ridere, perciò, con gli amici, con le persone che si rispettano; non lo si può fare, invece e a cuor leggero, con coloro che si disprezzano o con i quali non si condividono codici culturali ed etici. Mai dimenticare, inoltre, che si ride non solo con la mente, ma anche col corpo, come si evince dalle espressioni ricorrenti: pisciarsi, ammazzarsi, sganasciarsi, schiattare, soffocare, crepare, rotolarsi...-taglio2- dalle risate; e ancora: ridere a crepapelle, a squarciagola, sotto i baffi, con le lacrime... Ridere, dunque: aiuta nelle avversità; attenua le ansie; facilita le relazioni; sdrammatizza l’esistenza… e giova anche alla salute del corpo. Si ride, nelle feste; non si può, nei funerali. E ancora, in modo bonario: quando qualcuno cade, salvo poi pentirsi se l’evento ha provocato danni; quando si vuol dare un’immagine rassicurante di sé; per solidarietà con un amico, anche se la barzelletta da lui raccontata ci è già nota; e, in modo crudele: per sottolineare un difetto fisico; per razzismo; per sminuire il pensiero altrui; per criticare un ceto sociale, un abito fuori moda, un lessico precario... Esiste, infine, la cosiddetta ridarella, incontrollabile, isterica, contagiosa; quella che nessuno si augura, che provoca sensi di colpa e di vergogna... E che nasce in ambienti rigidi e seriosi, ai quali per legittima difesa, a volte, l’inconscio strappa la maschera, e si ribella, in nome della libertà.





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