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La goccia della sofferta costanza

di Franco Salerno

Numero 220 - Maggio 2021

Dalla pandemia abbiamo appreso anche l’importanza della perseveranza. Un breve viaggio negli aforismi latini dedicati a questo tema


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Nell’estate dell’anno scorso molti pensavano che la pandemia fosse finita e che ci attendesse una rinascita sociale, culturale ed economica. Le cose purtroppo sono andate esattamente nel versante opposto. E abbiamo dovuto fronteggiare, con le vaccinazioni, una nuova ondata del virus. -taglio-Ora sembriamo davvero avviati verso una ripresa. Ma è ancora presto per cantare vittoria. Per avere un’arma in più contro il Covid, dobbiamo ispirarci ad un binomio dalla forte valenza morale: volontà ferrea e sofferta costanza. Per comprendere l’importanza di questo atteggiamento, è utile, come al solito, ispirarci alla cultura classica e viaggiare tra gli aforismi di cui essa è ricca. Cominciamo con una sentenza sul dover credere in un obiettivo, riportata nel “De bello civili” di Giulio Cesare: “Ciò che vogliamo, lo crediamo anche volentieri”, frase che poi è stata ripresa da Quintiliano, Ovidio e Seneca. Una variante complementare è coniata da Seneca retore: “Nessuno crede facilmente niente per cui dovrebbe addolorarsi”. Addirittura ciò che vogliamo orienta e rende fattiva e risolutiva la nostra ricerca e fa in modo che “se tu avessi cercato un ago, davvero un ago avresti trovato”: così dice Plauto in “Menaechmi” (238 e sgg.), coniando un aforisma sicuramente più ottimistico della famosa espressione “cercare un ago in un pagliaio”. Ma la più famosa espressione latina sulla potenza della tenacia è l’aforisma “Gutta cavat lapidem” (“La goccia scava il sasso”), che si ritrova nel “De rerum natura” (I, 313) nella forma “Stillicidi casus lapidem cavat” -taglio2-(“Il cadere continuo della goccia scava il sasso”): è evidente la situazione paradossale implicita in questa sentenza (la vittoria di un elemento debole e molle come l’acqua nei confronti di un elemento duro e resistente come il sasso). L’espressione, che ritrova in Tibullo, Properzio e Ovidio, compariva già in ambito ebraico in un’opera che emblematicamente esalta la potenza della pazienza, intesa letteralmente anche come “sopportazione del dolore” (“Giobbe”, 1, 19). Dalla resistenza al dolore all’importanza del perseverare nell’apprendimento e nel miglioramento culturale e spirituale il passo è breve. Si prenda in considerazione il celebre detto latino “Nulla dies sine linea”, cioè “Non deve passar nessun giorno senza aver tracciato una linea in più rispetto al giorno precedente”. Lo dice Plinio il Vecchio nella sua “Storia naturale” a proposito del pittore Apelle, che si esercitava quotidianamente nel tracciare una linea, dunque metaforicamente nell’aggiungere, a livello di apprendimento e di produzione artistica, un risultato quotidiano da aggiungere alle proprie esperienze precedenti.





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