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L’incoscienza del cambiamento

di Adriano Fiore

Numero 181 - Ottobre 2017

I tempi cambiano, le divisioni restano. Le paure aumentano. Iniziamo a guardarci più alle spalle che davanti, ma non per questo pensiamo alla chiusura come a ciò che inevitabilmente può scrivere la parola fine.


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I tempi cambiano, le divisioni restano. Le paure aumentano. Iniziamo a guardarci più alle spalle che davanti, ma non per questo pensiamo alla chiusura come a ciò che inevitabilmente può scrivere la parola fine. È notizia di queste settimane la protesta di piazza con conseguente bagarre socio-politica relativa alla tanto agognata – da alcuni, s’intende – indipendenza della Catalogna. Sulla questione, che difficilmente raggiungerà una risoluzione concordata e pacifica come per tutte le rivoluzioni legate a processi di autodeterminazione dei popoli, i pareri possono essere contrastanti. Da un lato schierarsi contro gli indipendentisti significa, in parte, rinnegare il fondamento stesso della nostra Europa, e ancor di più dell’Italia stessa, pervasa tutt’oggi da regionalismi forti e solamente “distratti” negli ultimi tempi da altri invasori – gli immigrati che scappano da un mondo che non dovrebbe esistere – ben più visibili e problematici (almeno secondo buona parte della retorica dominante). D’altro canto eventuali iniziative in stile secessionista devono, necessariamente, avere un fondamento, che non può essere un centro “troppo pieno di sé e disinteressato alle periferie che in realtà sono il fulcro del paese” – Lega docet. Ci vogliono delle motivazioni solide per portare avanti simili rivendicazioni, non foss’altro per le caratteristiche dell’attuale ambiente internazionale, pervaso dalla tensione e dal timore che qualcosa di veramente terribile (guerre, attentati, cataclismi o finanche tutto assieme) possa accadere da un momento all’altro e sconvolgere le nostre vite.-taglio- Dopo i catalani, subito i gruppi con smanie indipendentiste di mezza Europa hanno pensato fosse questo il momento giusto per emergere e provare a chiedere di essere quantomeno ascoltati, minacciando azioni di protesta e manifestazioni di piazza. Ciò che fa riflettere, invero, non è il fenomeno in sé, quanto il successo – strumentalizzato dai media – di questi tentativi. Per la serie: c’è anche chi li sta a sentire. Solo in Italia hanno iniziato prima i lombardi e la ringalluzzita Lega Nord, che in teoria vorrebbe staccarsi da tutti e tutto (Europa compresa) e poi non perde occasione per legarsi a qualche movimento che proprio in quell’Europa tanto odiata deposita i suoi germi. Ma a ruota son saltati fuori anche altri “separatismi” che pensavamo sopiti, come quello siciliano e, soprattutto, quello sardo, con tanto di banchetti in piazza per raccogliere firme ed ottenere, quanto meno, “la totale indipendenza regionale, proprio come la Corsica”. Nel mondo terrorizzato da un cieco fondamentalismo religioso colmo d’odio e manie distruttive, l’unica cosa che potrebbe davvero salvarci -taglio2- sarebbe quella di unirci. Tutti e sempre, il più possibile, fisicamente, intellettualmente e culturalmente. Più saranno le barriere e le divisioni, più i giochi di potere, gli odi, le intolleranze ed i fanatismi su cui la Storia ha mosso troppe volte i suoi passi avranno vita facile e saranno preda di chi cerca partner per le proprie cause senza senso. È da irresponsabili pensare solo al proprio tornaconto, all’orto di casa, richiedendo più potere per rinchiudersi nella propria “isola felice”. Per capirlo addirittura i Servizi Segreti che bisogna cooperare, dialogare, aprirsi e condividere, significa che la situazione è più grave di quanto possiamo minimamente intuire. È giusto richiedere rispetto, per le minoranze e per le diversità, patrimonio da tutelare sempre e comunque. Farlo tuttavia ponendosi “contro”, rompendo col passato e con chi l’ha vissuto, significa andare incontro ad un futuro di incognite, navigando a vista in un mare in burrasca, senza capire che per cambiare, a volte, basta semplicemente rimanere fermi.





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