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L’arte della scrittura

di Pasquale Matrone

Numero 197 - Marzo 2019

Leonardo denuncia l’artefice di un delitto e svela l’esatta “misura dell’uomo” nel nuovo romanzo di Marco Malvaldi


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Nato a Pisa nel 1974, Marco Malvaldi, chimico, ha esordito nel 2007 per Sellerio con “La briscola in cinque”, primo degli ormai sette volumi dedicati ai “vecchietti del BarLume’, divenuti nel 2013 anche una fortunata serie televisiva. Ha pubblicato i romanzi: “Odore di chiuso”, “Milioni di milioni”, “Argento vivo”, “Buchi nella sabbia”, “La battaglia navale”, “Negli occhi di chi guarda”, “La misura dell’uomo”; e i saggi: “L’infinito tra parentesi. Storia sentimentale della scienza da Omero a Borges”, “Capra e calcoli. L’eterna lotta tra gli algoritmi e il caos”, “Le due teste del tiranno. Metodi matematici per la libertà”, “L'architetto dell’invisibile ovvero come pensa un chimico” e “Per ridere aggiungere acqua. Piccolo saggio sull’umorismo e il linguaggio”. Ho incontrato Malvaldi a Sesto Fiorentino, in occasione della presentazione del suo nuovo lavoro “La misura dell’uomo”. Coordinatrice brillante dell’incontro, Elizabeth Cappa. La chiacchierata con lui è stata ricca di stimoli e, insieme, briosa e informale…

Dopo i suoi “gialli” densi di umorismo, ha deciso di scrivere un romanzo su Leonardo da Vinci. Perché?

“Si tratta, in realtà, di un’opera su commissione: mi è stata chiesta dall’editore Giunti. Ho fatto presente che, laureato in chimica, non sarei stato capace di affrontare l’argomento con la giusta competenza. A lui interessava solo il mio modo di raccontare; per il resto, avrei ricevuto il supporto di un filologo…” -taglio Il libro è stato accolto molto bene dai lettori… l’editore ha fatto, dunque, la scelta giusta…

“Un ottimo editore. La Giunti ha sede nella Villa di Brunetto Latini, a Firenze, la stessa in cui si riunirono i Pazzi, prima della congiura. Entrare in quella dimora è stato per me avere già un impatto forte con le atmosfere e lo spirito di un’epoca straordinaria. Mi è stata messa a disposizione una mole enorme di manoscritti. Ho capito che sarei riuscito a farcela: avrei parlato di Leonardo, descrivendone la dimensione di uomo, soprattutto.”

Perché il romanzo è ambientato a Milano?

“Nella Milano di quegli anni, si respira un’aria diversa da quella che c’è a Firenze: ci si muove con più libertà. Allievo del Verrocchio, Leonardo vi giunge come musico. Poi diventa costumista: disegnerà gli abiti di Beatrice d’Este. In seguito, Ludovico il Moro, figlio naturale di Francesco Sforza, gli commissionerà il gigantesco cavallo di bronzo destinato a esaltare il nobile genitore e a impressionare i sudditi: governa al posto del nipote Gian Galeazzo e ha bisogno di una scenografia adatta a giustificare il ruolo -taglio2- arbitrariamente assunto.”

Leonardo deve, dunque, molto alla liberalità di Ludovico?

“Una liberalità calcolata. Lui, come altri governanti dell’epoca, impiega il danaro in modo mirato. Artisti, pensatori e inventori servono alla sua immagine, ne rinsaldano l’autorità.”

Per quale sua “abilità” viene chiamato a investigare su un delitto?

“Per la grande competenza in materia di anatomia.”

Quanto c’è di vero nel suo libro?

“Non sono uno storico... lo dichiaro in una nota: ‘Non dubito che in questo libro siano presenti parecchi errori, sia a livello storico che a livello artistico...’. Milano ha visto crescere Leonardo come artista, come scienziato e come uomo. Quando vi giunge, non conosce né il latino né il greco e neppure è capace di fare calcoli. Grazie all’aiuto di Luca Pacioli, studia Lucrezio, Cusano… Quando, da Milano, parte per la Francia, Leonardo è diventato finalmente il genio che tutti ammiriamo ancora oggi.”

Come è approdato alla scrittura?

“Ho frequentato per anni il dipartimento di chimica dell’Università di Pisa: lavoravo in un locale poco illuminato situato di fronte ai servizi igienici. Non potendomi assentare col corpo, lo facevo con la mente, inventavo storie. Fui eletto rappresentante dei miei colleghi, con l’obbligo di redigere i verbali. Feci di questa rogna un divertimento: usavo, di volta in volta, stile e lessico diversi: medioevale, barocco…. Aspettavo reazioni negative e, invece, fu subito successo! Quando, poi, ho capito che scrivere era per me terapeutico, ho provato a creare personaggi. I vecchietti del BarLume sono stati i primi: ottantenni che passano le giornate, giocando a carte, discutendo dei fatti altrui, facendo battute e investigando. Ho inviato, quasi per gioco, il manoscritto a sedici editori. Solo Sellerio ha risposto. Alla telefonata del titolare, ho reagito con uno sberleffo, pensavo a uno scherzo.”

Serve ancora, oggi, scrivere?

“Certo. Come serve leggere, per diventare veramente uomini. Io mi considero uno scrittore umorista. Anche Leonardo aveva senso dell’umorismo. La scrittura è tanto più efficace quanto più riesce a suscitare il riso. E poiché la risata è strumento di libertà e di liberazione, la scrittura governata dalla giusta dose di umorismo diventa veicolo utile per la scoperta e la realizzazione della ‘misura dell’uomo’.”





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