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L'amico secondo Samosata

di Alfredo Salucci

Numero 211 - Giugno 2020

l'amicizia secondo Luciano di Samosata


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Luciano di Samosata è un autore di origine siriana, nato il 120 d.C. e morto ad Atene tra il 180 e il 192. La sua produzione letteraria a carattere prevalentemente umoristico e satirico è molto ampia, fra i temi trattati non tralascia quello dell’amicizia. I suoi scritti sull’amicizia non aggiungono nulla di nuovo a quanto già scritto dagli autori precedenti, quindi nei libri di Luciano non ci sono note nuove o originali se non un rivedere e rielaborare quanto già scritto e detto da altri. -taglio- Il primo accenno a quest’argomento si trova nel De parasito (Il parassita), in cui cerca di dimostrare che il parassitismo è una vera e propria arte che deriva dalla philía. Nel De mercede conductis (Gli accompagnatori prezzolati) tratta la misera condizione sofferta dai Greci impegnati come precettori presso la nobiltà romana. È il tema del mecenatismo tanto in voga nell’antica Roma e tanto amato e sofferto allo stesso tempo dagli scrittori ed eruditi del tempo. L’opera però in cui Luciano fa una vera e propria denuncia contro una società che ha perso la generosità delle origini è Toxari sive amicitia (Tossari o l’amicizia). In questo scritto, in forma di dialogo, Luciano affronta il tema dell’amicizia. I protagonisti sono il greco Mnesippo e lo scita Tossari, in pratica un barbaro. Luciano immagina una sfida tra i due per dimostrare quale popolo abbia in maggiore considerazione l’amicizia. La gara consiste nel narrare a turno cinque prove di amicizia della propria gente. Questa competizione si tiene in occasione delle feste che gli Sciti celebrano in onore di Oreste e Pilade, nelle quali viene ricordata l’amicizia tra questi due grandi eroi. Il dialogo di Luciano non apporta, come detto, novità a quanto già scritto e dibattuto sull’amicizia, ma ripercorre quella che era stata la storia dell’amicizia e come era stata raccontata dagli antichi greci. Una storia che evidenziava ed elogiava un’amicizia guerriera, quella raccontata da Omero, ormai scomparsa in Grecia ma presente in un popolo considerato barbaro, come quello scita.
Questo tipo di amicizia è possibile tra due persone o al massimo tre. Il dialogo inizia con la domanda di Mnesippo a Tossari sul perché gli Sciti onorano Oreste e Pilade, -taglio2-addirittura facendo loro sacrifici come se fossero dei. Tossari risponde che loro sanno bene che non sono dei, ma uomini valorosi. Mnesippo insiste a chiedere ulteriori spiegazioni, certo che questa loro venerazione verso Oreste e Pilade non è intesa a sollecitare la loro benevolenza, in quanto sono morti. Tossari risponde che quei sacrifici non servono per averne una benevolenza impossibile ma per ricordare questi due amici ai vivi e stimolarli a prendere esempio da loro e a imitarli.
Mnesippo non riesce a rendersi conto della cosa, e ricorda a Tossari che Oreste e Pilade erano nemici degli Sciti. Infatti, dopo che erano stati fatti prigionieri e stavano per essere sacrificati a Diana, riuscirono ad assalire i custodi, a travolgere le guardie, ad ammazzare il re e a rapire la sacerdotessa con la stessa Diana, facendosi beffa di tutti gli Sciti. Mnesippo termina il suo dire affermando che: “Se per questo fatto voi li onorate, farete venire a molti la voglia di imitarli: e dall’esempio antico considerate un po’ se è bello per voi che molti Oresti e Piladi vi arrivino in Scizia. Per me, mi pare che così voi tosto restereste senza culto e senza dei perché quelli che vi rimangono vi saranno rubati via allo stesso modo dai forestieri: ma credo poi che ve li rifarete a nuovo tutti gli dei, indierete quelli che son venuti a rubarveli, ed offerirete sacrifizi a chi v’ha spogliati i templi”. Tossari, a questo punto, è ben lieto di chiarire la cosa. Certo gli Sciti sanno bene quello che hanno commesso Oreste e Pilade, ma da loro hanno avuto un esempio importante di vera amicizia, tanto da riportare le loro avventure e sventure su una colonna di bronzo posta nel tempio di Oreste.





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