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Johnny Depp

di Tommaso Martinelli

Numero 225 - Novembre 2021

La tenacia, l’orgoglio e la voglia costante di migliorarsi: sono questi i principi intorno a cui gira il mondo della star hollywoodiana, ancora in cerca di “nuove sfide”


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La sua è una lunga carriera costellata di successi e ruoli unici, speciali e sempre indimenticabili che lo hanno inserito di diritto nell’Olimpo del cinema hollywoodiano. Johnny Depp, attore feticcio di tanti film ‘cult’ di Tim Burton, è stato uno degli ospiti più attesi alla XIX edizione di "Alice nella Città", sezione autonoma e parallela dell’ultima Festa del Cinema di Roma, dedicata agli esordi, al talento e alle nuove generazioni. L'attore è arrivato nella Capitale per presentare "Puffins", web-serie animata, unica nel suo genere, spin-off del film d'animazione "Arctic - Un'avventura glaciale", in cui Depp presta la propria voce e i propri tratti somatici al protagonista Johnny Puff, una pulcinella di mare». Johnny, come nasce il tuo coinvolgimento in questo progetto? “Quando Andrea Iervolino e Monika Bacardi me l’hanno proposto ho capito sin da subito che la sfida era entusiasmante. La cosa particolare di questa nuova avventura è quella di poter avvicinare un pubblico a cui nessuno si normalmente si è interessato, quello dei bambini molto piccoli, perché complesso. Ho letto tantissimi libri di Desmond Morris (zoologo ed etologo britannico, ndr) e fatto tante ricerche per studiare, in particolare, quali sono i suoni a cui reagisce un neonato. Certo, è noto che lo fanno ridere le facce buffe o certi rumori: a me, però, interessava sapere a quale suono particolare reagisse dal punto di vista scientifico.” I tempi di preparazione sono stati abbastanza lunghi: come mai? “Il mio desiderio era quello di inventare di sana pianta il linguaggio per il mio personaggio. Hanno rispettato i miei tempi e, soprattutto, quello che secondo me sembrava più giusto: mixare il mio dialogo con quello che è il verso dei Puffins, che non sono altro che delle pulcinelle di mare.” Il tuo personaggio, Johnny Puff, è ispirato ad un altro tuo ruolo simbolo: il capitano Jack Sparrow della saga dei Pirati dei Caraibi… “Devo ammettere che uno dei motivi principali per cui accettai la parte era anche per il gusto di infiltrarmi nel campo nemico: la Disney (ride, ndr). Quando ho iniziato a lavorare al ruolo di Jack Sparrow avevo appena passato tre anni con mia figlia a guardare tantissimi cartoni animati: così ho pensato, perché non posso interpretare anche io un cartone? Ho cercato di dare al personaggio di Jack Sparrow quei tratti da cartoon che tutti conosciamo perché siamo cresciuti con quel linguaggio che ci è rimasto dentro. Quando si guarda un film d’animazione c’è una sospensione dell’incredulità, si crede sempre a quello che si vede. È stata una grande occasione per esprimere la mia creatività.” Qual è il ruolo a cui sei più affezionato? “Sicuramente due. Il primo è il personaggio di Wade Walker in “Cry Baby”. Quando ero più giovane ero legato da un contratto di sette anni con una serie televisiva. Dopo due anni e mezzo, però, avevo l’impressione che il prodotto stesse perdendo in qualità così feci di tutto per farmi cacciare… finendo anche in carcere (ride, ndr). Quando finalmente riuscii a sciogliere il contratto, continuavano a propormi sempre gli stessi ruoli stereotipati. Non era quello che volevo, erano lontani anni luce da come volevo impostare la mia carriera. Cambiò tutto quando lessi la sceneggiatura di “Cry Baby”. Capii che era la grande occasione per intraprendere un percorso professionale più solido. Con “Edward Mani di Forbice”, poi, la mia strada mi diventò definitivamente chiara.” Sei molto amato dal pubblico, di ogni generazione: qual è il tuo segreto? “Il mio lavoro costante e quotidiano mi ha dato la grande opportunità, come attore, di affrontare diverse sfide per i personaggi che ho interpretato. Ogni volta è stata una sfida diversa che la maggior parte delle volte è stata accolta con grande gioia dal pubblico.” Un bilancio della tua lunga carriera? “Credo di far parte di quella schiera di attori che pensano che non bisogna mai essere soddisfatti di quello che si fa: d’altronde pensare di aver raggiunto la piena soddisfazione a livello professionale è un po’ come morire. Significherebbe adagiarsi sugli allori, abbandonare la spinta e il desiderio di spingersi oltre e migliorarsi». A che punto sei del tuo percorso professionale? “Oggi cerco di fare semplicemente quello che più mi piace: è una sensazione piacevole, davvero interessante. Non mi va di partecipare a kolossal cinematografici accanto a grandissimi nomi: a volte reputo più interessanti e stimolanti progetti più piccoli, magari condivisi con una ragazza o un ragazzo di 15 anni che hanno qualcosa da dire o girati, perché no, con un telefonino. Hollywood ormai per me è solo un bel posto dove andare in vacanza. Dal punto di vista professionale penso ci sia grande mancanza di competenza e di cultura, oltre al fatto che si sfornano prodotti abbastanza scontati.” La cosa di cui vai più orgoglioso? “Il mio orgoglio più grande sono i miei figli: nessun ruolo o film di successo a cui ho preso parte è lontanamente paragonabile alla gioia che ho provato quando sono venuti al mondo.”





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