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Invidia, la passione triste

di Pasquale Matrone

Numero 221 - Giugno 2021

Invidia deriva dal verbo latino ‘invidere’. Io invidio, perciò, vuol dire: io non posso vedere che... Il vocabolo indica un inconscio, diffuso e perverso sentimento di astio verso i beni, i pregi e le fortune altrui... Nessuno degli esseri umani può dichiararsene immune. Scagli la prima pietra chi è senza peccato...


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L’invidia è la passione triste cieca linguacciuta e calunniatrice che spinge a desiderare il male dell’altro, nonché a bramare ciò che l’altro possiede: una bella famiglia, una vita serena, un lavoro sicuro, un amore sincero... La si neutralizza, solo quando si apprende l’arte di guardarsi dentro e ci si libera da frustrazioni, -taglio-comprendendo che essere quel che si è gratifica di più e aiuta a mettersi in relazione con il mondo con equilibrio ed efficacia. Contro l’invidia, nel suo trattato sulle ‘Passioni dell’anima’, Cartesio suggerisce: “Vivi nascosto”. Nel senso che meno sanno cosa vali e meno ti guarderanno con astio. Comprensibile ma non condivisibile, quanto suggerito dal filosofo. Bisogna, infatti, essere sé stessi, sempre, se si opera secondo verità e giustizia. Mai ci si deve lasciar condizionare dal pensiero e dal giudizio altrui. Più saggio, Virgilio consiglia a Dante di reagire all’invidia con l’indifferenza: “Non ti curar di loro, ma guarda e passa”. Un atteggiamento meno dannoso per la serenità dello spirito, ma più complesso: richiede maturità consapevolezza, autocontrollo… In letteratura scientifica viene operata la distinzione tra invidia maligna,-taglio- benigna, depressiva o ostile. Se benigna, l’invidia è paragonabile all’ammirazione e spinge il soggetto a migliorarsi, a costruire il proprio successo con strumenti adeguati e onesti; quella maligna, al contrario, è dannosa per chi la prova, prosciuga la motivazione a migliorarsi. Deleteria e debilitante ancora di più è quella depressiva, quella in cui il confronto con gli altri induce a sperimentare emozioni come tristezza e desolazione, lesive della volontà e freno a qualsivoglia tendenza a progettare e a fare; in quella ostile, infine, emergono rabbia e odio mirati a rovinare l’altro e a desiderarne il fallimento, disapprovandolo, denigrandolo o deprezzando la qualità e l’efficacia dei risultati da lui raggiunti. In certe situazioni, addirittura esplode una sorta di insano e diabolico piacere nell’assistere alla caduta rovinosa e irreversibile delle persone oggetto d’invidia. Ma l’altrui rovina produce solo gioia illusoria, effimera, impregnata di fiele: non cancella gli insuccessi. E, peggio ancora, spinge l’invidioso all’ autodistruzione.





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