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I libri-mondo aiutano a vivere

di Franco Salerno

Numero 188 - Aprile 2018

L’esempio dei capolavori di Lucrezio e di Virgilio


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Secondo l’analisi dell’Associazione Italiana Editori, negli ultimi 12 mesi gli Italiani (nella fascia tra i 15enni e i 75enni), che hanno letto almeno 1 libro in formato cartaceo, sono il 62% mentre il 27% legge anche ebook e l’11% fa ricorso all’audiolibro. Un dato che ribadisce l’importanza della lettura, che fa del libro un amico prezioso. Furono gli antichi a conferire un’importanza fondante per la civiltà stessa al libro, anche se esso non aveva le caratteristiche assunte dopo l’invenzione della stampa attribuita a Johann Gutenberg, che, tra il 1448 e il 1454, stampò a Magonza il primo libro. Che, non caso, si chiamava “Bibbia”, cioè appunto “I libri”, il quale conteneva l’Antico Testamento, testo fondante del Cristianesimo, dell’Ebraismo e dell’Islamismo. -taglio- Il culto della lettura e della scrittura risiede nella parola stessa “leggere”, che deriva dal verbo greco e latino “lego” che significa anche “raccogliere”, un’operazione fortemente espressiva della “volontà individuale”; infatti, essa si collega anche alla parola “logos”, che significa “discorso” e “ragione”: due concetti tipici del linguaggio della democrazia e dell’apertura all’altro. Furono, dopo i Greci, i Latini a privilegiare i libri, che liberano da ignoranza e presunzione, falsità e sottomissione: è significativo che in latino “liber” significa sia “libro” che “libero”. Basti ricordare due aforismi del più grande scrittore latino, Marco Tullio Cicerone (I sec. a. C.): “Una stanza senza libri è come un corpo senz’anima” e “I libri sono l’alimento della giovinezza e la gioia della vecchiaia”. E la cultura latina ha prodotto libri-mondo che condensano, appunto, le visioni del mondo della civiltà antica. E, tra i tanti libri, potremmo citare il “De rerum natura” di Lucrezio (nato, peraltro, forse nella Valle del Sarno) e l’“Eneide” di Virgilio (molto legato alla cultura misterica di Napoli). Il primo esaltò la libertà dell’intelletto, la creatività dei sapienti, l’audacia dei pensatori che fiondano i loro occhi per l’immenso infinito e dalle lande -taglio2- del Cosmo riportano idee che possono servire al miglioramento dell’umana condizione. Egli osò tuonare contro la superstizione religiosa che ingenerava la paura degli dei. Come anche osò esortare gli uomini a non avere più timore della Morte. Perché, quando ci siamo noi sulla Terra, Lei non c’è; e, invece, quando c’è Lei, noi non ci siamo più. Una profonda riflessione esistenziale, insomma, che invitava a trovare dentro la propria coscienza il vero senso del Sé. Diverso, ma complementare, il caso di Virgilio, che preferisce alla filosofia il mito e nel suo aureo capolavoro fa scendere Enea negli Inferi affinché riceva la profezia sulla grandezza della Roma futura. Profezia: parola sacra per un poeta. Perché “profeta” è “colui che parla prima degli altri”, “colui che parla davanti agli altri”, “colui che parla a nome di un Altro”, cioè di un’entità superiore. Il profeta, naturalmente, è libero e le sue parole vanno al di là della banale realtà. Proprio come succede a Virgilio, quando profetizza nelle sue “Bucoliche” una nuova età dell’oro, fondata sulla pace e sulla prosperità. Forse Virgilio non ha creato un mondo nuovo, ma sicuramente ci ha donato nuovi occhi per guardare il mondo.





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