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Giovanni Anzaldo

Un passo dopo l’altro

di Tommaso Martinelli

Numero 176 - Aprile 2017

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Il volto nuovo del cinema italiano è certamente il suo, ha già fatto collaborazioni di successo ed ora è al cinema con il nuovo film di Veronesi


In passato lo abbiamo visto in film importanti come "Il capitale umano" e "Razzabastarda" e oggi è tra le nuove leve più apprezzate e promettenti del cinema italiano. Giovanni Anzaldo, ventinovenne attore originario di Torino, è attualmente nelle sale con l'ultimo film di Giovanni Veronesi: "Non è un paese per giovani". A teatro, invece, sta portando in scena "L'Isola degli schiavi" accanto a Stefano Fresi. Certamente è un ragazzo che si rimbocca le maniche e che non ha paura di mettersi in gioco, infatti, dal suo sguardo si capisce che la recitazione è la sua vita e sarebbe disposto a fare qualsiasi cosa per lei! In questa intervista Giovanni Anzaldo ci racconta qualcosa in più su di lui e sul suo nuovo film: assolutamente da non perdere!

Sei uno dei protagonisti di "Non è un paese per giovani", parlaci dell’esperienza sul set…

“È stato stimolante lavorare a questo film, perché affronta una tematica molto interessante e soprattutto attuale. I protagonisti sono due ragazzi (Sandro e Luciano) che, non intravedendo grandi prospettive di crescita e di lavoro in Italia, decidono di trasferirsi all'estero per aprire un locale, in particolare a Cuba. Lì, hanno intenzione di portare una ventata di novità introducendo delle ‘innovazioni’ e l’italianità che tanto apprezzano gli stranieri, come per esempio il wi-fi, che lì è ancora rarissimo.” -taglio-

Il tuo personaggio incarna la realtà di molti giovani italiani…

“Assolutamente, Luciano è un cameriere, stanco di essere sfruttato dai suoi principali, i ‘fratelli agonia’, e di non intravedere nessuna possibilità di crescita nel suo futuro. Luciano ha un carattere impulsivo e sognatore. I suoi genitori sono degli intellettuali, di quelli che stanno sempre nel giusto, ma questo non si vede nel film. Luciano, invece, è uno che sbaglia sempre; non sa come raggirare quel muro che la vita gli ha messo davanti e, nell'impossibilità di scavalcarlo, decide di schiantarcisi contro. La paura d'essere imperfetto lo spinge a fare cose avventate, come finire a fare incontri clandestini.”

Com’è stato girare a Cuba?

“Non male! L’atmosfera che si respira in questo posto è magica, hai la possibilità di entrare in contatto con una realtà completamente differente dalla nostra. Inoltre, per esigenze di copione mi sono allenato per dieci lunghi giorni con degli stunt cubani in una specie di magazzino pieno di polvere. Lì, era tutto autentico, vero, spesso anche le botte, ti lascio immaginare. Durante le riprese mi sono preso un pugno, mi sono ustionato durante l'ultimo incontro del film, diciamo che il film ce l’ho anche sulla pelle! Fare scene di combattimento, però, è eccitante: la gente urla intorno a te, le combinazioni studiate in palestra devono essere fatte rapidamente, con intenzioni vere, farsi male è un attimo per questo bisogna stare molto concentrati.”

La tua famiglia ha appoggiato sin da subito la tua scelta di fare l'attore?

“Si, ho avuto la fortuna di godere del loro appoggio fin dal principio. I miei genitori sono commercianti e per quanto lontani da questo mondo mi hanno subito sostenuto ed aiutato a realizzare il mio sogno. Probabilmente perché, essendo il figlio più piccolo, sono stato sempre il più coccolato! Scherzi a parte, devo ringraziare ogni giorno la mia famiglia, senza di loro non sarei riuscito ad andare avanti nella realtà dello spettacolo, che spesso sa essere davvero ‘crudele’ e difficile da affrontare.”

Facendo un passo indietro, durante la tua carriera hai ottenuto un grande successo con “Il capitale umano”...

“Si, è stato un po’ l’inizio di tutto; per prepararmi al meglio al ruolo di Luca Ambrosini decisi di lavorare prima di tutto sulle mie fragilità. Ho seguito una sorta di terapia, questo rappresenta il lato nascosto e bellissimo di questo lavoro, avere la possibilità di lavorare anche su se stessi. Dopo aver tirato fuori tutte le mie insicurezze, le mascherai con una grande faccia tosta(ride, ndr). Sul set poi, tutti hanno fatto in modo che si mantenesse un clima rilassato ma professionale, forse è stato proprio questo il segreto della buonissima riuscita di questa pellicola.”

Hai lavorato accanto ad attori importanti, per fare un esempio Alessandro Gassman nel film “Razzabastarda”, com’è stata questa collaborazione?

“Quello con Alessandro è stato un incontro che amo definire fondamentale. Uno dei più importanti della mia vita, che conserverò sempre nel cuore. Ricordo ancora quando il mio agente mi disse che Gassman era alla ricerca di un attore esordiente romano. Pur essendo piemontese, decisi di prendere la palla al balzo e programmai un’intera settimana alla volta della Capitale, immergendomi subito nella sua realtà. Per riuscire meglio al provino, appena potevo, mi facendo leggere le battute in dialetto dalla gente comune. Le registravo, mi esercitavo e così mi presentai al provino. La concorrenza era tanta, infatti fu davvero dura, ma alla fine ce l'ho fatta!”

Tra le tue passioni, c’è anche il teatro; in cosa sei impegnato adesso?

“Attualmente sono in scena con ‘L'isola degli Schiavi’ per la regia di Ferdinando Ceriani con Stefano Fresi, Carlo Ragone, Ippolita Baldini, e Carla Ferraro. Sarò inoltre a Torino per un lungo progetto con il Tetaro Stabile della città, che mi vedrà coinvolto ne ‘Il nome della rosa’. Spero comunque di poter ritornare al cinema, sono aperto a qualsiasi offerta!”

Tra dieci anni come ti piacerebbe vederti?

“Beh, mi piacerebbe girare un mio film, ma anche prima di dieci anni. In realtà ne ho già scritto uno: ho girato un corto prodotto da Raul Bova intitolato ‘Sullo stress del piccione’. Adesso sto lavorando sulla scrittura di un nuovo lavoro insieme al regista e attore Luca di Prospero. Per il resto, ovviamente, spero di continuare a migliorarmi come attore recitando con quelli che sono i pilastri del cinema!”

Questo mese la nostra cover story parla della “fame mentale”, essendo una persona cui piace molto darsi da fare, senti l’esigenza vera e propria di nutrirti mentalmente?

“Credo che questa debba essere un’esigenza comune ad ogni essere umano, essere affamati mentalmente significa avere voglia di vita, di conoscere e di migliorarsi! Io cerco continuamente di stimolare il mio cervello, al contrario, se non fosse così non so se sarei riuscito a raggiungere i miei obiettivi.”

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“Per prepararmi al meglio ho lavorato sulle mie fragilità. È questo il lato nascosto e bellissimo di questo lavoro”

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