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Fame di successo

di Luca Guerrasio

Numero 199 - Maggio 2019

Il rapper Ernia, racconta la sua musica, i suoi sogni da ragazzo e un futuro che lo porterà lontano


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Ernia è uno dei maggiori esponenti della nuova generazione rap, un artista dalle mille sfaccettature, appassionato di letteratura e lingue straniere, visionario e schietto nei suoi testi, cangiante nella sua musica. Ernia ha saputo rinnovarsi negli anni, andando controcorrente e senza farsi influenzare dalle mode musicali del momento. Il singolo in uscita, “Certi giorni”, si avvale della preziosa collaborazione di Nitro, e anticipa l’uscita di “68 (TILL THE END)”, una specialissima riedizione dell’album “68”, omonimo album uscito a Settembre 2018 e già diventato un best seller della cultura hip hop contemporanea e “68 (68 TILL THE END)”, la nuova riedizione che include invece 7 tracce inedite di cui tre brani con dei featuring, oltre al nuovo singolo anche il contributo di Lazza, e l’inaspettata collaborazione con Chadia Rodriguez nel brano “Mr Bamboo”.

“Certi giorni” è il titolo del tuo nuovo singolo, cantato tra l’altro insieme a Nitro, di cosa parla?

“Volevo fare una cosa molto più rap del solito, più scanzonata, caciarona diciamo, ma mi trovavo ad avere questa traccia molto intima, quasi triste. Parlando con Nitro abbiamo deciso di lavorarci un po' ed è venuto fuori quello che volevo.” -taglio- Non solo il featuring con Nitro, ma nell’album troviamo altri duetti. Pensi che ci sia molta più collaborazione e senso di amicizia nel mondo del rap?

“All’interno di questa repack ho lavorato anche con Chadia Rodriguez e Lazza. La collaborazione è una cosa tipica di questo genere, fino a pochi anni fa non c’erano soldi, fare rap non pagava, e allora si preferiva farlo tra amici, quasi per giocare, per divertirsi…”

Oggi la musica rap vive un momento d’oro, da musica di strada, cantata tra amici, ritroviamo sempre più album ai vertici delle classifiche. Come mai questo cambiamento?

“Noi non ci siamo estraniati come genere, noi raccontiamo la realtà. La musica italiana in generale, a parte pochi artisti, parla sempre delle stesse cose: ti amo, non ti amo, la mia storia finita. Certo sono argomenti che funzionano perché tutti vivono quei sentimenti, ma poi c’è anche dell’altro nella vita, e il rap prende tutta quella fetta. il rap apre uno spaccato sulla società, su quello che la gente pensa davvero, sui problemi. Non è che noi facciamo di più, sono gli altri che fanno di meno. Il rap parla di soldi, di riscatto, e gli italiani questa cosa non l’hanno capita bene, perché fa strano raccontare un argomento del genere che fa parte della nostra quotidianità.”

I tuoi testi parlano la lingua del rap, ma con pizzico di cultura che ti contraddistingue, anche per i tuoi trascorsi -taglio2- personali, dato che studi lingue e letterature straniere. Quanto si riflette questo sulla tua scrittura?

“Credo di scrivere in maniera diversa dai colleghi della mia generazione, che sono molto più ‘caciaroni’, parlano di soldi, ragazze, successo, che sono i messaggi tipici che passano anche dai social network. Anche io seguo quello che è il riflesso di quello che è il mondo in cui viviamo, in maniera diversa certamente. Purtroppo il mondo del rap spesso viene attaccato perché si pensa che trasmetta dei messaggi fuorvianti per i nostri ragazzi, e questa cosa mi dispiace perché non è così, i giovani sono influenzati da altro e già da prima delle nostre canzoni. Io credo che ci sia un po' di rancore sociale, il nostro paese è molto rancoroso.”

“68 till the end”, non è solo il titolo del tuo nuovo album, ma soprattutto il numero dell’autobus che ti portava dalla periferia al centro di Milano. Quanti sogni hai lasciato su quel tragitto?

“Il mio sogno da ragazzino era fare questo. Su quel tragitto diciamo che non ne ho lasciati, sto continuando a sognare, diciamo così. La periferia mi ha dato la fame, pur non venendo da un quartiere popolare, ma da uno residenziale, l’accorgersi, crescendo, di venire dalla periferia ti fa venire voglia di fare, di emergere.”





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