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Fabrizio Nardi

Questione di stile

di Pasquale Di Palma

Numero 261 - Giugno - 2025

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Il grande attore, reduce dal successo nella serie ACAB, ci racconta i retroscena di quest’avventura e di una grande carriera, tra ruoli intensi e comicità


Fabrizio Nardi è una figura poliedrica del panorama artistico italiano, noto al grande pubblico per il suo lavoro nel duo comico Pablo e Pedro. Con una carriera che spazia tra teatro, televisione e cinema, Nardi ha saputo distinguersi per il suo stile ironico e intelligente, capace di far riflettere oltre che divertire. In questa intervista, ci racconta il suo percorso, le sfide affrontate nel mondo dello spettacolo e la sua visione dell’arte comica oggi.-taglio- Parlaci del tuo ruolo in ACAB, come ti vedi nel ruolo del cattivo? “Il mio ruolo in ACAB è quello del caposquadra: una figura che, oltre a comandare, rappresenta un po' il padre di tutti i ragazzi. È un leader, ma anche un amico, un punto di riferimento, quasi un piccolo guru. Interpretare il "cattivo" non mi ha messo a disagio, anzi: da attore trovo stimolante calarmi in ruoli lontani da me. È stato un ruolo molto bello, anche perché mi ha permesso di staccarmi dalla mia vena comica. Dentro di me c’è anche una parte più dura, più cruda, che in questo personaggio ho potuto esprimere appieno.” Hai lavorato con Gabriele Muccino, Fausto Brizzi e tanti altri importanti nomi del settore, qual è il tuo sogno nel cassetto? “Lavorare con registi come Gabriele Muccino, Fausto Brizzi e anche Michele Alhai è stato fondamentale per la mia crescita artistica. Ognuno di loro ha uno stile molto diverso, e proprio questa varietà ha reso ogni esperienza unica, profonda e formativa. Mi hanno lasciato tanto, sia dal punto di vista professionale che umano. Il mio sogno nel cassetto? Avere più occasioni per fare cinema, per esprimermi, per regalare emozioni al pubblico. Mi piacerebbe interpretare un protagonista in un film tutto mio, nato da un’idea originale, in cui posso raccontare qualcosa di personale, che sia comico, drammatico o entrambe le cose.” Cosa ne pensi della comicità televisiva degli ultimi anni? “Negli ultimi anni la comicità televisiva è cambiata molto e non sempre in meglio. È diventata una sorta di 'fast food': tutto è più veloce, più frammentato, con tanti comici in spazi sempre più brevi. Questo porta a sacrificare la costruzione dello sketch o del monologo, che invece dovrebbe avere un’idea forte, uno sviluppo narrativo, un inizio e una fine. Vengo da una scuola in cui si costruiva una storia, un personaggio, si dava un senso al pezzo comico. Oggi sembra che basti mettere insieme cinque battute per strappare una risata. Ma senza struttura, senza anima, si rischia di perdere profondità e originalità. E questo, per chi ama davvero la comicità, è un grande limite.” Dopo 30 anni di carriera hai portato per la prima volta sul palco il tuo one man show, “Che diavolo volete?”. Com'è nata questa nuova avventura? “Dopo tanti anni di lavoro in coppia con Pablo e Pedro, sentivo il bisogno di provare qualcosa da solo. Volevo mettermi in gioco con un’idea forte, che fosse all’altezza di tutto ciò che avevamo costruito insieme nel tempo. In passato avevamo portato in scena Dio che scendeva sulla Terra. Così mi è venuto spontaneo chiedermi: e se ora toccasse al Diavolo? E se anche lui avesse qualcosa da dire? È da lì che è nato “Che diavolo volete?”. È stata un’esperienza intensa e gratificante. Mi ha riportato con i piedi per terra, ma allo stesso tempo mi ha restituito quella scarica di adrenalina che rende vivo il mestiere dell’attore. È stato un viaggio importante, che porterò avanti in parallelo al percorso con Pablo e Pedro, che rimane una parte fondamentale del mio cammino artistico.”

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