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Elio Waschimps

di Joanna Irena Wrobel

Numero 203 - Ottobre 2019

Un grande affabulatore, istrionico e cordiale, che ha fatto dell’Arte una scelta di vita. Un Artista solitario, potente e suggestivo, capace di materializzare gli aspetti più profondi dell’inconscio in una rappresentazione drammatica e ipnotizzante...


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Un grande affabulatore, istrionico e cordiale, che ha fatto dell’Arte una scelta di vita. Un Artista solitario, potente e suggestivo, capace di materializzare gli aspetti più profondi dell’inconscio in una rappresentazione drammatica e ipnotizzante. Nelle sue opere, il colore si fa materia densa e la figura si deforma nella tragicità della solitudine. Una solitudine, a cui la storia (sembra) ha deciso di condannarci. Elio Waschimps (1932, Napoli), sin dagli esordi, ha scelto di rimanere sulla propria strada maestra, un po’ defilata e al di fuori delle mode, delle correnti artistiche, per portare avanti un discorso individuale. Un percorso prettamente sperimentale, basato sul ripensamento critico della grande pittura del passato, per affrontare in un modo inedito, i problemi del presente. -taglio- Debutta sulla scena dell’arte napoletana con la mostra personale del 1957 alla Galleria Medea, dimostrando una particolare capacità pittorica, una singolare e inusuale creatività artistica, alimentata dalla profonda conoscenza dell’arte antica, i cui limiti si possono collocare tra i maggiori esempi dei Maestri del ‘600 e l’Espressionismo novecentesco. Una ricerca, tutta indirizzata alla scoperta di un mondo aperto e sempre vivo, mediante il quale cogliere i momenti più palpitanti e significativi. La “contemporaneità” di Elio Waschimps è data dalla suggestione della sua pittura, colma di immagini della quotidianità diversa, alterata, trasportata in una dimensione imprevedibile, offuscata dai grigiori delle periferie, celata dalle ombre incombenti. Nelle sue opere non svettano gli eroi, non ci sono sacri simboli da dover idolatrare, ovunque regna la quotidianità comune, a volte dimessa, a volte semplicemente inserita negli scenari, che non hanno nulla di speciale: appaiono ordinari e per nulla sorprendenti. Le immagini si presentano spoglie di ogni dato che possa suggerire una qualsiasi caratterizzazione di tempo e di luogo. Al di là della immediata e (per niente) facile lettura delle tele, c’è sempre una forte presenza di un pensiero, di un giudizio morale. Waschimps si pone continuamente nuovi impegni nell’arricchimento della propria pittura, tra quello che può essere classico come una sorta di naturalismo ed una più complessa partecipazione alla vita tutta, superando ogni dubbio di non esser abbastanza aperto al “nuovo”, continuando a tenersi alla larga dai luoghi comuni, portati avanti -taglio2- dall’ondata postmoderna e dalle mutevoli oscillazioni della critica. Dopo gli inizi dedicati all’informale dalle forti note espressioniste, nascono i cicli pittorici (tra gli anni Settanta e il Duemila) dedicati a Marat, ai Giochi, ai Mamozii, ai Giardini, a Gli uomini alla finestra, alle Signore in Rosso. Opere, a tratti cupe e funeree, si trasformano in metafore fosche e inquietanti di una Napoli agonizzante. Le bambine, che giocano alla morte, saltando sui riquadri della “settimana” o inseguono un cerchio che sovente finisce nell’ombra per diventare, passo dopo passo, una danza macabra. Creature stranite, sospese ad un filo dell’esistenza, si aggirano fragili in mezzo agli spazi dilatati e indefiniti. I tetri palazzi di periferia si illuminano con lingue violente di fiamme devastanti. Un’umanità colpita dalla crudeltà della guerra, dalla fame, dalla miseria, dalla violenza. Waschimps, con gesti azzardati di larghe e brutali pennellate, pensa al gioco della pittura, come a un viaggio nelle tenebre e nel silenzio, nella parte oscura del nostro inconscio, che resta sempre celata, ma qualche volta affiora. Negli ultimi lavori dell’Artista napoletano, la materia pittorica carica e congestionante, assume tonalità diverse, più tenui, più delicate. Il segno, invece, diventa scarno, essenziale, quasi infantile, ma pur sempre eloquente e potentissimo. Spazi pieni di contrasti, carichi di tensione, una pittura che supera lo stato servile della narrazione e cerca di portare lo spettatore oltre i confini della percezione naturale. Un tentativo di creare un’immagine che fa saltare tutti i limiti della convenzione, per scavare un varco verso il reale, che nulla ha a che fare con l’idealismo.


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