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DONATELLA DI PIETRANTONIO

di Gaetano Magliano

Numero 253 - Settembre 2024

Intervista esclusiva alla vincitrice del Premio Strega 2024: dalla vita privata alla passione per la scrittura… ecco cosa ci ha raccontato


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“L’età fragile” questo il titolo dell’opera che ha convinto all’unisono i giurati dell’edizione 2024 del Premio Strega. L’autrice di questo capolavoro è Donatella Di Pietrantonio scrittrice per passione, dentista di professione, che da anni ci regala delle vere e proprie gemme di letteratura. Sulle copertine dei suoi libri, le donne sono protagoniste ed hanno sempre sguardi intensi su sfondi che infuocano orizzonti. È così anche la cover dell’ultimo romanzo “L’età fragile” che racconta la storia di Lucia, di sua figlia Amanda, di madri e padri, di sentimenti e ferite, di una tragedia accaduta anni prima, di un mondo lontano che è stato contadino e che si lega con fili stretti e nodi fitti a quello contemporaneo. “L’età fragile” ha vinto il Premio Strega Giovani e subito dopo il Premio Strega “vero e proprio”, assegnato il 4 luglio scorso, a Roma, al Ninfeo di Villa Giulia. Negli ultimi giorni la scrittrice abruzzese, che abita a Penne (Pescara), dove ha ancora il suo studio dentistico, è impegnata nella promozione del libro. Tra lei e lo Strega c’è una lunga storia: nel 2014 ha partecipato con “Bella mia” al Premio istituito nel 1947 da Maria Bellonci e Guido Alberti, e nel 2021 è stata anche finalista con Borgo Sud. Noi di Albatros l’abbiamo incontrata durante una delle sue presentazioni. Premio Strega: cosa significa per uno scrittore riuscire a ricevere un riconoscimento simile? “Il Premio Strega è ambito: ha prestigio e tutti aspiriamo ad averlo. Io poi ho una provenienza lontana dal mondo della letteratura: sono partita da una famiglia contadina, mi sono laureata in odontoiatria e mi sento sempre un po’ un’intrusa. Cerco un riconoscimento che mi rassicuri, che certifichi a me stessa che sono una vera scrittrice, ed essere riuscita in una cosa simile mi riempie il cuore di orgoglio.” Cosa pensa abbia colpito di più la giuria? “Credo che la chiave sia sempre l’identificazione, leggendo è quasi naturale mettersi nei panni Amanda che nella storia vive un periodo di crisi: ha interrotto un percorso di studio che sia lei sia la madre avevano immaginato lineare. Quindi subito esce fuori la densità delle relazioni umane, soprattutto quelle familiari, le difficoltà di una madre e di una figlia adulta a parlarsi, ad aiutarsi. Nel libro c’è il tema della fragilità, che riguarda tutti, in tutte le età perché ogni fase della vita ci espone al tempo della caduta e del dolore.” Lei ha deciso, così, di esporsi dichiarando che c’è molto del suo vissuto all’interno dell’opera… “Sì, ho toccato la fragilità in tutte le mie età perché sono una persona tormentata e ipersensibile. Inoltre credo sia impossibile non mettersi a nudo quando si decide di iniziare a scrivere. Devo raccontare un po’ la storia della mia infanzia per provare a spiegare da dove nasce la mia fragilità. Io ho sempre avuto la paura dell’abbandono e delle separazioni. -taglio2-Mia madre, per quanto mi amasse, era costretta a lavorare molto nei campi e a casa. Non la sentivo mai abbastanza vicina, mai abbastanza presente. Lei non aveva nessuna colpa: quella era la vita delle donne contadine di una volta. La mia è stata comunque una famiglia unita, che ha fatto grandi sacrifici per farmi studiare. Nonostante questo, sono cresciuta piena di paure e di insicurezze per cui la fragilità l’ho sempre toccata. Però è diventata per me anche una risorsa: solo conoscendo questa nostra condizione possiamo poi attingere alla forza che ci serve per vivere.” Quindi lei si identifica sia nel ruolo della figlia sia in quello della madre? “Assolutamente sì. Come genitore posso dire che ad un certo punto perdiamo la presa sulla vita dei figli. Vanno da soli e ci guardano spietati. Ho un figlio di 25 anni, che studia. E come Lucia – una delle protagoniste ndr. - da mamma, mi metto in discussione. A volte mi sento persino inadeguata. Credo che capiti un po’ a tutti i genitori, e alle madri in particolare, quel momento in cui ci si rende conto che i figli sono diventati altro da noi. Se ne vanno per la loro strada e ci guardano da lontano con uno sguardo che non è più quello di amore e di dipendenza di quando erano bambini, ma con lo sguardo dell’adulto lucido, a volte crudele, che trafigge, cade su di noi, sulle nostre mancanze. Credo però che questo sia un passaggio necessario, anche per potersi poi ritrovare.” Se dovessimo per un attimo parlare di Donatella non come scrittrice, in che modo trascorre la sua quotidianità? “Difficile scindere la scrittura da me stessa, però in ogni caso continuo ad avere il mio studio dentistico, ho un forte senso del dovere quindi nonostante io abbia la possibilità in questo momento di mettere in pausa questo aspetto della mia vita, cerco di continuare anche per rimanere con i piedi per terra. Poi amo molto viaggiare, conoscere nuovi posti e nuove persone… non è stato sempre così, anzi, prima avevo paura di pensarmi dall’altra parte del mondo, sai le solite ansie anche da mamma. Con gli anni, però, ho deciso di mettermi un po' in gioco e fare sempre qualcosa di nuovo e per questo ho deciso di sbloccarmi! Ho scoperto che il viaggio ti arricchisce come nient’altro può fare: vivi sensazioni, momenti, che sai già non potranno ripetersi in quel modo da nessun’altra parte del mondo.” Il posto che le è piaciuto di più? “Difficile dare una risposta secca, però posso dire che il Sud America mi ha totalmente fatta innamorare. Non so, c’è una forte contraddizione in quei paesi, ma allo stesso tempo un’identità ben definita. Poi le persone sono uniche, hanno una luce diversa negli occhi… ecco, mi sta facendo venir voglia di prendere un aereo!”





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