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Cambiare se stessi

di Franco Salerno

Numero 187 - Aprile 2018

Reinventarsi: è stato questo l’elisir di lunga della cultura della Roma classica


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La storia è una realtà complessa. Alcuni dicono che muta continuamente e scorre come un fiume tumultuoso che sfocia nel mare del Tempo. Altri credono invece che essa non proponga nulla di nuovo: di qui la famosa sentenza popolare, secondo cui “Mondo è e mondo sarà”. Noi siamo dell’idea che il problema sia più complesso: cioè la storia procede per lenti mutamenti e aggiustamenti, quasi delle correzioni di tiro, per cui individui e popoli riprendono il passato e lo adattano al presente. Un fenomeno, insomma, di transcodificazione, per cui i vecchi codici vengono distrutti e poi reinventati. Questo concetto è una moderna conquista della semiologia novecentesca. Ma, a ben vedere, fu il concetto-chiave di tutta la cultura classica. -taglio- Già i primi filosofi greci avevano intuito questa costante dell’azione e del pensiero degli uomini, che sono sempre tesi al desiderio di “reinventarsi”. L’archè, cioè il principio primo della vita, secondo Talete, era l’acqua, il simbolo per eccellenza del cambiamento. Ed anche della Vita stessa, dal momento che, prima di venire al mondo, tutti viviamo nel liquido amniotico del ventre di nostra madre. Fu Eraclito poi che coniò il famoso aforisma “Tutto scorre”: pensare alla stasi, per lui, significava ipotizzare la sclerosi di ogni elemento vitale. Ma fu l’antica Roma con la sua civiltà e i suoi intellettuali ad esaltare la cultura del cambiamento-reinvenzione. Innanzitutto un cambiamento politico. Quella romana fu la società più aperta alle sperimentazioni istituzionali: dalla monarchia alla repubblica all’impero. Roma nacque, lungo le rive del Tevere, come un villaggio di rozzi contadini, che, però, superando il conservatorismo delle culture agrarie, si aprì agli altri popoli. Galli, Italici, Cartaginesi: Roma li sconfisse tutti, ma assunse molti dei loro codici culturali (“cultura” come “visione del mondo”). Dagli Etruschi e dai Greci, invece, Roma importò miti e riti. Dopo le Guerre Puniche -taglio2- Roma cambiò ancora, diventando una potenza commerciale e allevando nel suo seno una forte classe di “uomini nuovi”, che corrisponde alla moderna borghesia imprenditoriale. “La Grecia, conquistata da Roma -scrisse Orazio nelle sue “Epistole”- conquistò il feroce vincitore”. Roma, dunque, che aveva vinto militarmente la Grecia, si era lasciata vincere da essa, riprendendo dalla cultura greca i modelli letterari, filosofici e teatrali. Il vocabolo “cambiamento”, che, non a caso, i Latini chiamavano con un termine greco (“metamorfosi”), diventò la parola-chiave della cultura romana. Almeno due cambiamenti furono descritti dalla letteratura latina. Il primo era quello alla base delle “Metamorfosi” di Ovidio, che aprì l’era dopo Cristo. In esse l’autore cantò, tra le altre, la metamorfosi di Narciso innamorato di se stesso nel fiore corrispondente (si scoprì così il Doppio che è in tutti in noi). Il secondo: un “cambiamento” definitivo: quello della “metanoia” o “conversione della mente” proposto dal Cristianesimo. Un reinventarsi, grazie al quale dovremmo cambiare noi stessi per cambiare il Mondo.





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